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Le ultime sul Long-Covid

Le ultime sul Long-Covid

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di Marinella Ruggeri

Era il mese di maggio 2020 quando su Lancet si cominciavano a  pubblicare dati riscontrati sui danni che il COVID provocava sul sistema nervoso centrale e periferico per il suo spiccato neurotropismo.

 Era il mese di luglio 2021 quando si osservava che alcuni  pazienti che si negativizzavano al tampone presentavano una  persistenza dei sintomi, o addirittura una comparsa di nuovi sintomi a distanza di tre mesi, dalla infezione. Questi ulteriori dati hanno condotto ad ipotizzare l’esistenza di una nuova sindrome cosidetta di Long-Covid che si caratterizzava per diversi elementi, primo tra tutti la nebbia cognitiva e la stanchezza cronica invalidante.

E’ di qualche giorno fà, 5 marzo 2024, la conferma che non è vero che si era azzardata una diagnosi esagerata e destinata a scomparire, non è vero che si era generato un inutile allarmismo, come qualcuno ha voluto sottolineare, ma che in realtà, l’attenzione costante e approfondita sui pazienti,aveva permesso di intuire, con tre anni di anticipo, quanto si stà verificando oggi su numeri significativi di soggetti.

Il recente studio pubblicato su New England Journal of Medicine ha analizzato i test cognitivi condotti su quasi 113.000 persone in Gran Bretagna (per la precisione 112.964 adulti), e  ha fatto emergere che i pazienti con sintomi post-Covid persistenti avevano un QI equivalente a 6 punti inferiore rispetto a chi non ha mai avuto a che fare con il coronavirus. Nei pazienti ricoverati in terapia intensiva i punti persi di QI possono anche arrivare a 9.
Le 112.964 persone che hanno partecipato allo studio hanno completato una valutazione cognitiva online negli ultimi cinque mesi del 2022.

Circa 46.000 individui, ossia il 41%, hanno dichiarato di non aver mai avuto il Covid. Altri 46.000 che lo hanno contratto, ma che la malattia è durata meno di quattro settimane.

3.200 pazienti hanno raccontato di aver avuto a che fare con i sintomi post-Covid che si sono protratti da quattro a 12 settimane dopo l’infezione. Circa 3.900 persone hanno rivelato che i sintomi sono durati oltre le 12 settimane e in alcuni casi anche più di un anno.

In tal senso i test cognitivi hanno evidenziato che i pazienti con sintomi post-Covid persistenti avevano, come si diceva,  una riduzione del  QI  almeno a 6 punti inferiore rispetto a chi non era stato infettato.

Gli autori della ricerca hanno dichiarato che i risultati sono importanti perché forniscono prove numeriche dei problemi di confusione mentale, concentrazione e memoria che affliggono molte persone con Covid da lungo tempo.

Il Long Covid, conosciuto anche come “nebbia cognitiva”, si manifesta tramite un senso di stanchezza mentale persistente. 

I sintomi più riconoscibili sono difficoltà di concentrazione, confusione mentale e deficit di attenzione. Inoltre possono aggiungersi ansia, insonnia e depressione.

Nel mondo scientifico si dà ormai per assodato che il virus Sars-CoV-2 attacchi il cervello, sia nel corso dell’infezione, sia dopo. Lo ha confermato anche uno studio condotto dall’Università di Barcellona e pubblicato sulla rivista Disease Models & Mechanism.

Gli autori della ricerca hanno scoperto che nell’infezione acuta da Covid la maggior parte delle strutture del sistema nervoso centrale (cervello, tronco encefalico e cervelletto) vengono investite da fenomeni di neuroinfiammazione, degenerazione assonale e gliosi delle cellule nervose.

La “nebbia cognitiva” o “brain fog” è un sintomo post-Covid che colpisce numerosi individui, manifestandosi con difficoltà di concentrazione, confusione mentale e deficit di attenzione. Studi, come quello Neuro-Covid Italy promosso dalla Società Italiana di Neurologia, avevano già dall’inizio, fatto emergere  che una significativa percentuale di persone affette da Covid-19 esperisce disturbi di memoria e attenzione anche a distanza di tempo dalla guarigione.

Questo studio recente conferma il deterioramento cognitivo, che, sembrerebbe accompagnarsi una lieve disabilità intelletiva, data la riduzione del QI. 

Nonostante i risultati preoccupanti, lo studio offre anche una prospettiva ottimistica, suggerendo che il recupero dai sintomi del Long Covid potrebbe portare a un miglioramento delle funzioni cognitive. Questa constatazione può aprire la strada a ulteriori ricerche sulle potenziali terapie e interventi per mitigare l’impatto cognitivo di questa condizione.

Rispetto infatti ai fenomeni di acclamata neurodegenerazione, il processo neuroinfiammatorio se precocemente trattato e riabilitato può favorire un discreto recupero; bisogna cercare di cogliere i red flags  specie su quei pazienti che, se pur giovani, presentato un certo rallentamento ideativo con uno strano  “senso di stordimento “ come spesso mi accade di ascoltare , sintomo di una sofferenza  psico-cognitiva.