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L’alternativa cui sono soggette le donne e le bambine che tentano di lasciare la Libia per approdare in un porto sicuro italiano. Con la morte negli occhi, preferiscono affrontare la pericolosa traversata del canale di Sicilia su improbabili imbarcazioni piuttosto che essere torturate o violentate.
Valerio Nicolosi, in un articolo pubblicato il 14 luglio 2021 su MicroMega e rintracciabile al link “https://www.micromega.net/preferisco-morire-in-mare/” descrive il calvario di una donna proveniente dalla Costa d’Avorio dove nel 2002, durante il tentativo di colpo di Stato contro Gbagbo, viene prima stuprata da quattro soldati e successivamente gli stessi soldati le sparano due colpi di pistola in una spalla. In ospedale scopre che ha contratto una malattia sessuale e il marito decide di abbandonarla per strada. Dalla Costa D’Avorio passa in Liberia e da qui in Niger, e infine in Libia. Attraverso la cessione da un padrone ad un altro subisce stupri, torture e schiavitù: lavoro giorno e notte e continui abusi sessuali.
Finalmente in Libia è arrivata, nell’estate del 2017, riesce a sbarcare in Europa imbarcatasi insieme a 150 disperati su un fatiscente gommone che dopo meno di 24 ore si è sgonfiato, sei persone sono cadute in mare annegando prima che arrivasse una imbarcazione della cosiddetta Guardia Costiera libica che li ha riportati e ci ha riportato al porto di Tripoli. Qui vengono tutti incarcerati nelle prigioni governative (finanziate dal governo italiano sulla base del Memorandum d’Intesa tra Italia e Libia del febbraio 2017) dove ricominciano torture, ricatti e stupri.
L’interessante articolo fa molto pensare circa la politica estera italiana ed europea.