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Medici in fuga dal Servizio sanitario: Le ragioni nel secondo rapporto fnomceo-censis

Medici in fuga dal Servizio sanitario: Le ragioni nel secondo rapporto fnomceo-censis

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EMBARGO alle ORE 12,30 dell’11 luglio 2024

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Contratti temporanei in decollo, retribuzioni reali in picchiata: ecco perché lavorare nel Servizio sanitario non è più attrattivo per i medici italiani

Otto italiani su dieci ne sono convinti: se in questi anni il Servizio sanitario nazionale ha retto, lo si deve all’impegno straordinario dei medici. Che lo hanno puntellato con sforzo individuale, in condizioni difficili e senza un ritorno economico adeguato.

A fotografare la situazione – e a proporre soluzioni – è il nuovo Rapporto Fnomceo-Censis, “Il necessario cambio di paradigma nel Servizio sanitario: stop all’aziendalizzazione e ritorno del primato della salute”, presentato questa mattina a Roma in occasione del Convegno “Dall’economia al primato della persona”, organizzato dalla stessa Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri.

Esiste ormai ampio consenso sociale sull’urgenza di rilanciare il Servizio sanitario provato da un prolungato depotenziamento a causa di risorse pubbliche cresciute troppo poco rispetto ai fabbisogni sanitari di una popolazione che invecchia e che richiede risposte assistenziali appropriate per acuzie, cronicità sempre più diffuse e, anche, nei casi di possibili emergenze.

Le diffuse esperienze degli italiani di liste di attesa molto lunghe per l’accesso a prestazioni sanitarie nelle strutture pubbliche o del privato accreditato e il relativo inevitabile ricorso al privato puro per accorciare i tempi di accesso o, anche, quelle in strutture e servizi intasati e non in linea con gli standard attesi di qualità, hanno reso drammaticamente attuale l’urgenza sociale di un diverso approccio alla sanità.

La necessità di intervenire rapidamente attraendo nuovi medici e trattenendo quelli in servizio è resa più stringente dal fatto che negli ultimi 24 mesi, direttamente o tramite familiari il 44,5% degli italiani ha sperimentato situazioni di sovra-affollamento in reparti ospedalieri o strutture sanitarie. Sono esperienza condivise dal 44,7% nel Nord-Ovest, dal 39% nel Nord-Est, dal 45,5% nel Centro e dal 46,8% al Sud-Isole.

Il moltiplicarsi di aggressioni ai medici non è altro che la trasformazione del medico stesso nel capro espiatorio di contesti difficili, e eventuali prestazioni non in linea con le aspettative. Secondo l’84,3% degli italiani le aggressioni ai medici sono un’emergenza su cui occorre intervenire con provvedimenti urgenti ed efficaci.

Se il potenziamento sostanziale del finanziamento pubblico è una sorta di precondizione ineludibile, tuttavia esso non esaurisce la gamma di problematiche da affrontare poiché, a questo stadio, quel che va rimesso in discussione è un approccio di fondo, culturale e operativo, troppo a lungo egemone nella sanità italiana.

È l’approccio aziendalistico, in cui il rispetto di vincoli di bilancio prevale su criteri di valutazione fondati sulla necessità e l’appropriatezza delle prestazioni per la tutela della salute dei cittadini e che, di conseguenza, pone il medico in posizione subordinata rispetto ai responsabili economico-finanziari della sanità.

Il contenimento della spesa come obiettivo primario ha generato il perverso spostamento del costo di una parte non irrilevante di prestazioni appropriate dal bilancio pubblico ai budget privati delle famiglie, creando il presupposto di una sanità differenziata per capacità economica. Sono ormai 9 italiani su 10 a dichiararsi convinti e preoccupati del fatto che il vincolo di bilancio è stato troppo a lungo il re incontrastato delle decisioni relative alla spesa pubblica per la sanità.

L’aziendalizzazione, poi, è stata anche all’origine di una prolungata e autolesionistica politica di contenimento della spesa per il personale sanitario, con un marcato disinvestimento nei medici, infermieri e altri operatori.

Così, nel tempo, lavorare nel Servizio sanitario è diventato sempre più difficile, pesante, ad altissimo rischio di burn-out, senza adeguate gratificazioni economiche.

Da qui l’inevitabile fuga dal Servizio sanitario verso soluzioni professionali meno logoranti e a più alta gratificazione, nella libera professione così come nelle sanità di altri paesi.

Intanto, le esigenze di personale sono state affrontate ricorrendo a contratti temporanei e addirittura a forme di forniture di servizi. Considerate le unità annue di lavoro a tempo determinato e interinali, per le figure sanitarie si registra, dal 2012 al 2022, un balzo di +75,4%. Nello stesso periodo, le figure sanitarie stabili, a tempo indeterminato, sono aumentate solo del 2,6%. La spesa per lavoro a tempo determinato, consulenze, collaborazioni, interinale e altre prestazioni di lavoro sanitarie e sociosanitarie provenienti dal privato è stata pari a 3,6 miliardi di euro nel 2022, con un incremento del +66,4% rispetto al 2012. Nello stesso periodo, la spesa per il personale permanente è aumentata solo del 6,4%. La spesa totale per le retribuzioni dei medici permanenti nella Pubblica amministrazione tra il 2012 e il 2022 è rimasta sostanzialmente invariata, registrando un +0,2%, con -2,5% tra il 2012 e il 2019 e un +2,8% tra il 2019 e il 2022. Addirittura, tra il 2015 e il 2022 le retribuzioni dei medici nella PA sono diminuite, in termini reali, del 6,1%. Questi numeri, uniti alle condizioni di lavoro, sono una conferma ulteriore del mancato investimento sulla risorsa chiave della sanità: i medici. Del resto, posto pari a 100 il valore delle retribuzioni dei medici dipendenti italiani, nei Paesi Bassi è pari a 176, in Germania a 172,3 e Irlanda a 154,8: i medici italiani guadagnano molto meno dei colleghi di altri paesi omologhi.

È utile fissare il paradosso di un processo altamente regressivo che parte dal blocco delle assunzioni nel Servizio sanitario, dal lento andare della spesa pubblica per il personale in sanità e dal persistente gap tra offerta sanitaria e domanda di prestazioni mediche e sanitarie di una popolazione che invecchia. Porta il Servizio sanitario a ricorrere massicciamente alla libera professione per colmare il gap di offerta rispetto alla domanda, offrendo ai liberi professionisti remunerazioni particolarmente attrattive. Si struttura così un mercato delle prestazioni medico-specialistiche che diventa vantaggioso anche per i medici che sono indotti a sceglierlo rispetto alle difficoltà e alle retribuzioni rallentate del lavoro permanente nel Servizio sanitario.

Ecco descritto l’incredibile, autolesionistico, perverso circuito regressivo che il primato dell’economia e delle logiche aziendalistiche hanno generato nel Servizio sanitario. Lungi dal risolvere i problemi di sostenibilità economica hanno reso possibili e praticabili soluzioni, come quello del lavoro temporaneo acquistato sul mercato libero professionale, che fragilizzano ulteriormente il Servizio sanitario, non senza generare costi elevati e, di certo, non funzionali alla buona gestione economica.

Il processo regressivo descritto quindi mostra che la criticità reale non consiste nella scarsità assoluta di medici rispetto alle necessità, piuttosto nella perdita di attrattività relativa del Servizio sanitario rispetto alle opportunità libero professionali, peraltro poi richieste proprio dalle strutture della sanità pubblica.

Dati di comparazione internazionale mostrano che in Italia ci sono 410 medici per 100 mila abitanti, superiore al dato di paesi come la Francia che ha 318 medici per 100 mila abitanti o i Paesi Bassi con 390 medici per 100.000 abitanti.

È quindi evidente che in questa fase il problema chiave del Servizio sanitario non è lo shortage, la carenza, in assoluto di personale medico reclutabile, piuttosto la sua ridotta capacità attrattiva e di retention, trattenimento, con collocazione permanente rispetto a contratti alternativi temporanei o alla fuga all’estero.

Ha perciò senso rilevare che piuttosto che ricorrere a medici provenienti da paesi lontani e spesso molto diversi dal nostro, sarebbe opportuno promuovere investimenti adeguati per restituire attrattività al lavoro nel Servizio sanitario. Così, del resto, la pensa l’85% degli italiani.

Allo stesso modo, il 92,5% degli intervistati indica come urgenza suprema procedere all’assunzione di medici e infermieri nel Servizio sanitario nazionale.  Mentre l’84,5% è convinto che avere troppi medici con contratti temporanei indebolisce la sanità. Per l’87,2% è quindi prioritario migliorare le condizioni di lavoro e le retribuzioni dei medici, proprio perché li considerano la risorsa più importante della sanità.

Il vero cuore delle criticità attuali del Servizio sanitario è il suo svuotamento da medici e altri operatori sanitari, cioè il depauperamento della risorsa fondamentale che ha tenuto in piedi la sanità italiana nei momenti più difficili e da cui non si può prescindere per una sanità di qualità, in linea con le aspettative dei cittadini.

Il Rapporto Fnomceo-Censis rende ragione di questa dimensione decisiva e, al contempo ancora troppo sottovalutata, della crisi del Servizio sanitario e vuol contribuire a mettere al centro del dibattito pubblico la necessità di rimotivare i medici, rendendo di nuovo attrattivo il lavoro ad altissima utilità sociale all’interno della sanità universalista, per la quale gli italiani continuano a nutrire un amore indefettibile: quasi il 92% degli italiani considera la sanità per tutti quale motivo di orgoglio per il Paese e distintività a livello internazionale. Anche per questo, l’83,6% dichiara esplicitamente che, dopo l’esperienza traumatica del Covid, si aspettava molte più risorse e un impegno più intenso per potenziare la sanità. Una riserva di disillusione consistente, condivisa da maggioranze rilevanti sui territori, che è anche una domanda sociale pressante per tornare al dettato di quanto promesso e che gli italiani reputano urgente.

I medici sono il volto del nostro Servizio sanitario nazionale – commenta il Presidente della Fnomceo, Filippo Anellisono coloro che possono tutelare la centralità della salute rispetto a qualsiasi altra esigenza anche di tipo economico”.

Un’affermazione, questa, suffragata dai dati del Rapporto: l’81,5% degli italiani sottolinea che, se un medico gli prescrive un farmaco o una prestazione non coperta dal SSN lo paga di tasca propria. Il 78,9% ritiene che a decidere su cure, farmaci debba essere sempre e solo il medico senza vincoli di budget. In un sistema salute-centrico, per quasi il 60% dei cittadini i medici sono dei buoni manager, perché optano per la soluzione diagnostica e terapeutica più appropriata definendo un profilo di spesa sanitaria sul paziente in linea con le sue reali esigenze.

“È necessario un nuovo paradigma – chiosa Anelliche metta al primo posto la centralità assoluta della tutela della salute, della prevenzione e del follow up introducendo i principi del governo clinico nella gestione delle risorse e l’attribuzione ai medici di un ruolo essenziale in questi processi decisionali. Bisogna passare da un modello che veda la definizione delle risorse come primo atto per poi passare a massimizzare la redditività per cercare di centrare gli obiettivi di efficienza assistenziale ad uno che invece definisce prima gli obiettivi di salute e gli strumenti assistenziali per poi individuare tutte le risorse necessarie”.        

“Non ci sarà una sanità efficiente e per tutti – afferma Francesco Maietta, Responsabile Area Consumi, Mercati e Welfare del Censisse non saranno create le condizioni per un’espansione del numero di medici convinti che val la pena lavorare in modo permanente nel Servizio sanitario. Ogni altro obiettivo, a cominciare da quello socialmente decisivo del taglio della lunghezza delle liste di attesa, è subordinato a quello di rendere il Servizio sanitario un contesto particolarmente attraente per i nostri medici, a cominciare dai giovani”.

Dalla ricerca emergono dunque indicazioni operative molto precise, da intendersi come altrettante priorità:

  • avere più medici con retribuzioni più gratificanti in linea con quelle di un numero consistente di paesi europei;
  • impegnare più risorse pubbliche per ampliare la capacità di erogare prestazioni e accogliere pazienti in una sanità alle prese con gli effetti dell’intenso invecchiamento della popolazione.

E poi, ancora, ridare centralità al medico restituendogli quell’autonomia decisionale sulle prestazioni appropriate che oggi è limitata dai molteplici vincoli di budget e da altri lacci e lacciuoli imposti dal primato dell’economia esito dell’aziendalizzazione.

I numeri in pillole

Più medici, più motivati: una priorità italiana. L’84,5% degli italiani è convinto che avere troppi medici con contratti temporanei, intermittenti indebolisce la sanità: opinione condivisa da maggioranze trasversali a gruppi sociali e macroaree territoriali. L’87,2% reputa prioritario migliorarne le condizioni di lavoro, perché sono la risorsa più importante della sanità. Per il 92,5% occorre assumere subito medici e infermieri nel Servizio sanitario, per dare un taglio rapido alle liste di attesa. Per circa l’85% degli italiani è prioritario incentivare i medici italiani, piuttosto che reclutare medici da altri Paesi. L’urgenza di avere più medici è indotta dalla pressione sul Servizio sanitario: negli ultimi 24 mesi, direttamente o tramite familiari, ben il 44,5% degli italiani ha sperimentato situazioni di sovra-affollamento in reparti ospedalieri o in strutture sanitarie.

Troppi medici con contratti intermittenti nel Servizio sanitario. Considerate le unità annue di lavoro a tempo determinato e interinali per le figure sanitarie si registra +75,4% nel 2012-2022: +29,6% nel 2012-2019 e +35,4% nel 2019-2022. Tra 2012 e 2022 ci sono 15.320 unità annue di lavoro in più. Le figure sanitarie con contratti a tempo determinato sono aumentate del +78,1%: con +23,1% in fase pre-Covid e +44,6% in quella successiva. Per le figure sanitarie stabili invece nello stesso periodo 2012-2022 si registra un modesto +2,6%, -2,0% tra 2012 e 2019 e + 4,6% tra 2019 e 2022, grazie alla reazione all’emergenza. I dati certificano che si gonfia il numero di intermittenti, mentre quello del personale stabile aumenta di poco.

Tanta spesa per medici non permanenti. La spesa per lavoro a tempo determinato, consulenze, collaborazioni, interinale e altre prestazioni di lavoro sanitarie e sociosanitarie provenienti dal privato è stata pari a 3,6 miliardi di euro nel 2022: +66,4% rispetto al 2012, esito di +15,1% nel 2012-2019 e +44,5% tra 2019 e 2022. La spesa per il tempo determinato è stata nel 2022 pari a 1,9 miliardi di euro, con +93,4% rispetto a dieci anni prima; quella per consulenze, collaborazioni, interinale e altre prestazioni di lavoro sanitarie e sociosanitarie è stata pari a 1,7 miliardi di euro, con un balzo del +44,2% in dieci anni. La spesa per personale permanente invece è aumentata del +6,4% nel 2012-2022, con -0,8% nel 2012-2019 e +7,2% nel 2019-2022.

Retribuzioni dei medici in picchiata. In Italia non c’è un reale shortage di medici poiché sono 410 per 100 mila abitanti, dato superiore a quelli di Paesi come Francia (318 medici per 100 mila abitanti) o Paesi Bassi (390 medici per 100.000 abitanti). Non attraenti sono le condizioni di lavoro e le retribuzioni contrattuali che, per i medici nella PA nel periodo 2015-2022, hanno registrato in termini reali un duro -6,1%. Posto pari a 100 il valore delle retribuzioni dei medici dipendenti in Italia, nei Paesi Bassi è pari a 176, in Germania a 172,3 e in Irlanda a 154,8: i medici italiani guadagnano molto meno dei colleghi di altri Paesi omologhi.

L’autonomia necessaria del medico. L’81,5% degli italiani dice che nei casi in cui il medico gli prescrive un farmaco o una prestazione, qualora non siano coperti dal Servizio sanitario, scelgono di pagarli di tasca propria. Il 78,9% degli italiani pensa che a decidere su cure, farmaci debba essere sempre e solo il medico senza vincoli di budget a ridurre la sua autonomia. L’84% degli italiani ha fiducia nei medici e l’84,3% considera le aggressioni ai medici come un’emergenza da affrontare subito con efficacia.

L’indistruttibile amore degli italiani per il Servizio sanitario. Il 91,7% degli italiani è molto orgoglioso della sanità per tutti, universalista. L’83,6% dice che dopo il Covid si attendeva ben altri investimenti in sanità, un impegno ben più intenso per potenziarla. Sono i segnali di una pericolosa disillusione collettiva. Le priorità su cui occorrerebbe orientare investimenti per potenziare l’economia e innalzare il benessere delle persone sono per il 65,6% degli italiani quelle del Servizio sanitario, dagli ospedali al territorio, poi per il 50,2% del sistema scolastico e universitario, per il 29,8% delle infrastrutture per la mobilità e la logistica come strade, ponti, aeroporti, ferrovie veloci ecc., per il 27,7% nel sistema previdenziale.

Scarica il rapporto Fnomceo-Censis in versione integrale e sinteticaRapporto Fnomceo Censis

Scarica la cartella stampa del convegno:  11 luglio dall’economia al primato della persona

Segui la diretta streaming del convegno: https://www.youtube.com/live/EMfn4Z8ERA0

Roma, 11 luglio 2024

  Ufficio Stampa Fnomceo