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“Messina tra macerie e incanti”: Messina com’era

“Messina tra macerie e incanti”: Messina com’era

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di Giuseppe Ruggeri

“Messina tra macerie e incanti” di Giuseppe Ruggeri, con prefazione a cura di Sergio Di Giacomo, è una raccolta di articoli, conferenze e introduzioni che l’Autore ha collazionato e stampato in proprio, per offrire ai lettori uno spaccato di vita cittadina ripercorso attraverso personaggi, libri ed eventi della sua storia. Ma anche attraverso i numerosi musei, presenti in città e dintorni, testimoni della memoria cittadina. Una memoria segnata da grandi catastrofi ma pure dalla tenace volontà di risorgere dalle proprie ceneri dopo ogni disastro.

Parecchie ancora, a Messina, le “macerie” di tante distruzioni, dietro le quali, però, occhieggiano altrettanti “incanti” che un occhio innamorato, come quello dell’Autore, non può non cogliere e far assurgere a simbolo dell’auspicato rinascimento di un’Urbe che fu un tempo – così come la definirono i nostri padri Latini – “civitas locupletissima”.


Nel suo ponderoso saggio “Profilo dell’architettura a Messina (Libreria Ciofalo Edizioni, 2017), Franco Chillemi, non senza una punta amara di nostalgia, rievoca la città che fu attraverso un fitto ventaglio di testimonianze sparse a tutt’oggi in modo ubiquitario nel suo “hinterland”.

Non nuovo a cimenti del genere, Chillemi ha già dato alle stampe quattro volumi dedicati al centro storico, ai borghi, alle fortificazioni e ai casali di Messina, con il patrocinio della Fondazione “Bonino-Pulejo”. Ha pubblicato inoltre – insieme a Autori come Rocco Sisci, Franz Riccobono e Grazia Musolino – monografie su Milazzo, Saponara e Tripi. Magistrato di professione, anche con questa sua opera Chillemi si conferma puntuale e appassionato cultore degli aspetti storici, urbanistici e architettonici del nostro territorio.

Nel volume, arricchito da un dizionario bio-bibliografico degli architetti e un indice dei nomi e dei luoghi, entrambi curati da Giovanni Molonia, l’autore offre una dettagliata panoramica dell’evoluzione architettonica di Messina dall’epoca

normanna fino a oggi. All’architettura dell’epoca normanna sono da attribuirsi la fortezza di Rocca Guelfonia e l’annessa torre del conte Ruggero, quest’ultima indicata peraltro da attendibili fonti letterarie. Testimonianze dell’architettura sveva sono considerate la Chiesa di S. Maria Alemanna e il Tempio dell’Immacolata, Durante il periodo gotico furono costruite la Chiesa di S. Maria di Montalto, la Chiesa di S. Domenico e la Chiesa di S. Tommaso il Vecchio, ma certamente il monumento più importante dell’epoca è rappresentato dalla Chiesa di S. Maria della Scala, meglio conosciuta come “Badiazza”.

Agli esordi del Rinascimento, l’architettura messinese attraversa il periodo del cosiddetto “gotico fiorito”, stile che impronta i Palazzi Brunaccini e Spadafora. Secondo la testimonianza di Giuseppe Arenaprimo, riportata da Chillemi, risale a questo periodo anche la monumentale Fontana del Piano di S. Giovanni situata dinanzi all’odierno Palazzo del Governo. Il Rinascimento rappresenta per Messina un periodo aureo durante il quale vengono realizzate, tra l’altro, le grandiose fontane di Orione e del Nettuno – entrambe opere di Gianbattista Montorsoli, allievo di Michelangelo – mentre alla fine del Cinquecento risale l’inizio della costruzione

prima Palazzata progettata da Simone Gullì, All’età barocca appartengono, tra i manufatti più importanti, la Chiesa e il Convento dell’Annunziata dei Teatini e la Chiesa delle Anime del Purgatorio. A Messina, nel Settecento, opera anche Filippo Juvarra e nei primi decenni del secolo si afferma in città lo stile barocchetto, in cui viene realizzata la Chiesa di S. Gregorio dalla caratteristica cupola a spirale.

Il terremoto del 1783 distrugge gran parte della città che viene ricostruita mantenendo intatta la trama urbana precedente, pur con un generale abbassamento dell’elevazione degli edifici. Il Senato dà incarico a Giacomo Minutoli di progettare una nuova Palazzata che prevede, rispetto alla prima, un maggior numero di porte d’ingresso al centro urbano. Nel 1808 si completa il magnifico Palazzo Arena, affacciato sulla Fontana Orione a Piazza Duomo. A metà Ottocento si realizza il Teatro “S. Elisabetta” (successivamente rinominato “Vittorio Emanuele”), nonché numerose ville, palazzi e infine il grandioso Cimitero Monumentale, a opera di Leone Savoja. A seguito del terremoto del 1908, la città subisce numerose e sensibili modifiche del suo assetto urbano, parecchie testimonianze architettoniche vengono letteralmente cancellate in luogo di una ricostruzione in stile eclettico, anch’essa purtroppo

soggetta a ulteriori danni a causa dei bombardamenti del secondo conflitto mondiale.

La tesi di Chillemi, a margine del suo meritorio e appassionato lavoro di ricerca, è che “sarebbe facile, ma in qualche misura erroneo, affermare che sia venuta meno ogni continuità tra la Città preterremoto e quella risorta: in realtà è possibile cogliere, sotto alcuni aspetti, la prosecuzione della storia urbana nella nuova realtà”. Un criterio che verrebbe, a suo dire, confermato dal fatto che il Piano Regolatore Borzì ha ripreso il disegno della città, stratificatosi nei secoli, pur adattandolo ai criteri antisismici dell’epoca. Tanto comportò, sempre secondo Chillemi, l’abbattimento di numerose testimonianze architettoniche o per eccessiva altezza o per mancanza di cemento armato nelle proprie intelaiature.

Viene tuttavia da chiedersi il motivo di tanta e sistematica distruzione quando, anche a prezzo del sacrificio di quanto era stato irrimediabilmente compromesso, sarebbe stato possibile recuperare, grazie ad adeguate tecniche ricostruttive, buona parte del patrimonio artistico-architettonico superstite. Perché, se è pur vero che il disegno originario della città è stato in qualche modo conservato, tutto questo non è sufficiente a

giustificare quelle che lo stesso Chillemi definisce “scriteriate e generali demolizioni” come ad esempio la distruzione della Chiesa di S. Gregorio, rimasta praticamente intatta dopo il sisma. Per preservare un’autentica continuità tra passato e presente, si sarebbe dovuto piuttosto, sia pure senza derogare alle regole della ricostruzione antisismica, valutare con meticolosità le testimonianze da tutelare tanto per pregio architettonico quanto per valenza storica. Dovere, questo, che non vale solo nei casi di catastrofi naturali o antropiche ma anche quando il moderno irrompe nell’antico minacciando di cancellarlo con conseguente grave danno per l’identità urbana, che è poi quella collettiva, che ci riguarda tutti.

E, in tema di testimonianze della città antica ormai per sempre cancellate, pochi sanno che a Bath, un colorito centro urbano dell’entroterra inglese il cui nome è legato alla presenza delle rovine di antiche terme romane, sorge un complesso monumentale che può essere considerato la copia fedele di una delle due Palazzate di Messina. Parliamo, nella specie, della Palazzata progettata da Simone Gullì, sulla cui storia vale la pena di spendere qualche parola. Nel 1579, la Strada della Marina tracciata sotto il mandato del viceré di Sicilia Marco Antonio

Colonna fu ben presto fiancheggiata da una palazzata non perfezionata. Il completamento prospettico degli aggregati di edifici ebbe luogo nel periodo a cavallo tra il 1622 e il 1624, su incarico del viceré di Sicilia Emanuele Filiberto di Savoia. Comprendeva diciotto porte monumentali a due ordini che mettevano in collegamento il fronte della Marina con i quartieri interni della città. La serie di tredici edifici, stilisticamente omogenei erano contraddistinti dalla facciata scandita da quattro ordini di aperture e dalla lunga teoria di finestre e balconi. L’intera cortina si configurava come un enorme edificio di 267 interassi: nel primo ordine 267 finestre, nel secondo e terzo ordine, 267 balconcini sormontati da timpani alternati per serie e sfalsati per livello (ad arco o triangolo), nel quarto ordine 267 piccole finestre rettangolari. La Palazzata, o Cortina, era indicata con il termine di Teatro Marittimo per via del grandioso colpo d’occhio offerto, quale scenografica e colossale quinta, ai visitatori provenienti dal mare. Il complesso delle strutture subì gravissimi danni in seguito alle numerose scosse sismiche note come terremoto della Calabria meridionale del 1783. Prima che tutto crollasse, ebbene, l’architetto John Wood junior vissuto nel Settecento, ebbe il tempo di

venire a Messina ed essere in tal misura rapito dalla bellezza della Palazzata da riprodurre questo magnifico complesso monumentale nella loro città. Il “Royal Crescent” di Bath è una struttura a semicerchio che affaccia su un grande prato verde il quale, nell’idea dei progettisti, doveva sostituire il mare di cui Bath è sprovvista. Con l’effetto scenografico che si addice a una monumentale opera di sintesi tra la fastosità barocca e il razionalismo classico. Per tali e tanti altri aspetti, il “Royal Crescent” s’ispira a una delle memorie storiche più pregnanti di Messina. La Palazzata, infatti, è da sempre simbolo identitario per eccellenza della nostra città e oggetto, nel più dei casi, dell’irriducibile nostalgia di quanti, per ragioni anagrafiche, non hanno avuto la possibilità di ammirarla dal vivo.