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di Giuseppe Ruggeri
“Messina tra macerie e incanti” di Giuseppe Ruggeri, con prefazione a cura di Sergio Di Giacomo, è una raccolta di articoli, conferenze e introduzioni che l’Autore ha collazionato e stampato in proprio, per offrire ai lettori uno spaccato di vita cittadina ripercorso attraverso personaggi, libri ed eventi della sua storia. Ma anche attraverso i numerosi musei, presenti in città e dintorni, testimoni della memoria cittadina. Una memoria segnata da grandi catastrofi ma pure dalla tenace volontà di risorgere dalle proprie ceneri dopo ogni disastro.
Parecchie ancora, a Messina, le “macerie” di tante distruzioni, dietro le quali, però, occhieggiano altrettanti “incanti” che un occhio innamorato, come quello dell’Autore, non può non cogliere e far assurgere a simbolo dell’auspicato rinascimento di un’Urbe che fu un tempo – così come la definirono i nostri padri Latini – “civitas locupletissima”.
Dopo Maria Costa, un altro “incanto” cittadino ci ha lasciato orfani. Il suo ultimo sguardo Sergio Palumbo l’ha rivolto alla Sicilia “mitica”, un’abbagliante “Magna Mater” abbracciata dalle acque dello Stretto regno di Orione, il bellissimo figlio di Poseidone ucciso per gelosia da Artemide. “Orion” è, infatti, il nome del museo virtuale multimediale ideato da Palumbo e inaugurato nel 2017, alla presenza dell’allora assessore ai beni culturali siciliani Sebastiano Tusa, poco prima della sua tragica scomparsa. E’ scivolato così nel buio dell’eterno interrogativo il giornalista, saggista, critico e storico letterario messinese mancato a soli sessantatré anni dopo una vita spesa nella costante “recherche” del tempo perduto della cultura letteraria dell’isola. Una cultura oggi sempre più confusa dai fumi dell’immanentismo e della globalizzazione, e che ha ormai smarrito tanto la cifra memoriale quanto la consistenza razionale che in Leonardo Sciascia trova la sua massima espressione. Cifra e consistenza che Palumbo perseguiva con studi e interviste che si trasformavano in veri e propri saggi destinati a far
parlare di sé in tutto il mondo. Prova ne siano le sue coordinate bibliografiche presenti in alcune tra le più importanti biblioteche del mondo.
Figlio di Vincenzo, docente e critico peloritano che fu tra i soci fondatori del fatidico gruppo della “Scocca” insieme a Quasimodo, Vann’Antò, La Pira e Pugliatti, aveva ereditato dal padre la passione per la letteratura e per l’arte. Le storiche librerie messinesi dell’Ospe e D’Anna, che Palumbo iniziò a frequentare fin da ragazzo, erano luoghi d’incontro degli intelletti più brillanti e profondi, capaci di contatti e relazioni culturali con le maggiori personalità del mondo culturale dell’epoca.
Con Palumbo, firma storica della Terza Pagina della “Gazzetta del Sud”, la Sicilia perde uno degli esponenti di maggior spicco di un giornalismo culturale d’eccellenza per la sua non comune capacità di attraversare biografie di personalità letterarie come Quasimodo, Consolo, Bufalino, Bo, Caproni, Luzi e tanti altri – ricavandone lezioni impareggiabili di vita e pensiero.
Preziose e dirette le fonti, costituite, oltre che dalle interviste – memorabile, tra le tantissime, quella a Stefano D’Arrigo nel chiostro dell’Albergo San Domenico di Taormina – anche dai carteggi custoditi in originale nel suo archivio personale. Di questi,
piace menzionare lo scambio epistolare (1929-1966) tra Salvatore Quasimodo e Salvatore Pugliatti, da lui curato e pubblicato nel 1988 per i tipi di Vanni Scheiwiller, che fa luce sugli aspetti umani e intellettuali di un’amicizia nata sui banchi di scuola (frequentavano entrambi l’istituto superiore “Jaci”, a Messina) e durata per tutta la vita.
Palumbo ha inoltre approfondito con rara maestria e professionalità i rapporti tra la Sicilia e i grandi letterati nazionali (Montale, Spaziani, Bobbio, Caproni, La Capria, Montanelli e molti altri), deducendone la sostanziale interdipendenza. Non si può immaginare, si vuol qui dire, una corretta evoluzione della tradizione letteraria italiana prescindendo da figure come Verga e Pirandello e soprattutto dalla “triade” Sciascia-Bufalino-Consolo che le hanno conferito una matrice autenticamente europea.
Palumbo lo sapeva bene, e per questo il suo impegno ha anche riguardato l’esplorazione di personalità apparentemente “minori” della cultura letteraria siciliana, come Lucio Piccolo. Il cavaliere-poeta è, infatti, protagonista del documentario “Girandola d’ombre” (1993), girato e montato da Palumbo nelle affascinanti stanze di Villa Piccolo, a Capo d’Orlando. Uno spaccato della quotidianità sospesa
nel tempo, e segnata da riti e ritmi assolutamente fuori dalla normalità, della stravagante famiglia imparentata con Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il quale, proprio in quella villa, scrisse parte del romanzo “Il Gattopardo”.
In Sergio Palumbo la cultura coincideva con la vita. Rischiarata dal faro della memoria. Anche per questo, vogliamo crederlo, la terra gli sarà leggera.
Con Sergio Palumbo se ne va un pezzo della Messina che conta. Che conta per intelligenza, apertura culturale, passione. Il suo era un giornalismo completo, nel senso letterario del termine, perché nasceva e traeva linfa dalla lezione intellettuale italiana più vera e profonda del Novecento. Vastissima la sua rete di contatti “illustri”, punteggiata dai molteplici rapporti epistolari intrattenuti con personalità del livello di Carlo Bo e Mario Luzi, solo per fare un esempio. Una storia che potrebbe essere narrata in altrettanti volumi quanti sono quelli presenti in quella sorta di casa-museo che era la sua abitazione.
Viveva a Rometta Marea, defilato dal chiassoso ambiente “gossip” del capoluogo, in un appartamento all’interno di una palazzina anni Settanta insieme all’anziana madre, mancata poco
prima di lui. Da quell’osservatorio privilegiato coltivava i suoi studi, mai cessati, sulla letteratura siciliana rappresentata da quei grandi – Sciascia, Bufalino, Consolo, Piccolo – che costituivano da sempre oggetto della sua attenzione di cronista culturale. Presente, dal punto di vista bibliografico, in riviste e testate di caratura internazionale, aveva da poco fatto parlare di sé per aver ideato il Progetto “Orion”, il Museo multimediale inaugurato qualche anno fa alla presenza di Sebastiano Tusa. Un grandangolo sulle leggende dello Stretto, a cominciare dal mito del gigante Orione, il bellissimo figlio di Poseidone ucciso da Artemide per gelosia. Stretto come luogo di memoria e identità, teatro dell’epopea di Stefano D’Arrigo, e al quale guardava anche Renato Guttuso ispirandosi per le sue tele marinare più famose.
Ci siamo confrontati tante volte puntualmente passando in rassegna le numerose magagne della nostra stanca post-modernità. Con lui ho realizzato alcune indimenticabili interviste su Vincenzo Consolo, Vanni Scheiwiller e, ultima – nel dicembre 2019 – sugli anni messinesi di Leonardo Sciascia.
Cominciai ad approfondire la sua conoscenza nel lontano 2012, in occasione della pubblicazione del
mio breve saggio “Sicilitudine e letteratura” (Edizioni Zancle 85) nella libreria Feltrinelli (allora Circolo Pickwick). A corredo della lusinghiera presentazione, Sergio ne scrisse sulla pagina culturale della “Gazzetta del Sud”. Da allora il nostro rapporto crebbe anche sotto il profilo amicale, potendone io sempre più apprezzare le rare doti di disponibilità e signorile garbo umano. Immenso professionista della penna, coniugava con successo le qualità di storico e letterato. Il suo stile impeccabile ed elegante faceva da “pendant” a un’esposizione più che dettagliata dei dati documentali in suo possesso. I suoi, più che articoli, erano veri e propri saggi in formato ridotto che schiudevano scenari inaspettati sulla dimensione biografica degli autori trattati.
Sterminata la mole di studi e di lavori che Sergio Palumbo, nei proficui anni della sua attività, ci ha donato. Memorabili le sue interviste a Vincenzo Consolo, Leonardo Sciascia e Ignazio Buttitta, raccolti in un cofanetto prodotto per la Rai, un cui esemplare è gelosamente custodito nel mio archivio personale. Come pure la curatela del carteggio tra Salvatore Pugliatti e Salvatore Quasimodo per le edizioni Scheiwiller, che ha permesso di far luce su profili inediti di un sodalizio iniziato fin dai banchi di
scuola nella struggente cornice di una Messina che non c’è più.
Una Messina che Palumbo ha contribuito come pochi a far riemergere in superficie, come un miraggio, dalle onde del mare che bagnano Scilla e Cariddi.