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di Patrizia Merlo
Un migrante fugge dal proprio Paese di origine perché le condizioni di vita sono impossibili. I più vulnerabili sono i bambini ei ragazzi migranti soprattutto quelli non accompagnati che hanno bisogno di tutto. Hanno bisogno di cibo, di cure sanitarie, di sostegno psicologico, di imparare la nostra lingua, di assistenza legale.
Noi operatori del sociale abbiamo il compito di aiutare I minori migranti a superare le molteplici sfide dell’integrazione assicurando loro una condizioni di vita normale prestando un’attenzione particolare alla loro vulnerabilità.
In maniera ampia il fenomeno dell’immigrazione ci tocca da molto vicino sia per la sua muti-problematicità di cogente attualità sia per la connotazione geopolitica propria dell’Italia e in particolare della Sicilia da sempre crocevia di scambi sul Mediterraneo.
Secondo le stime delle Nazioni Unite il numero dei migranti internazionali è cresciuto notevolmente negli ultimi due decenni passando da 173 a 281 milioni, con una media annuale pari a +2,4% (dati dal 1° luglio 2000 e 2020).
Nonostante le difficoltà e le restrizioni legate alla pandemia, possiamo affermare che una persona ogni 30 nel mondo vive al di fuori del proprio Paese. Infatti i 281 milioni di migranti internazionali incidono per il 3,6% sulla popolazione mondiale. Le donne rappresentano circa il 48% dei migranti internazionali. Le principali aree di provenienza sono Asia, Europa, America, Africa e Oceania.
Dai dati forniti dall’Unchr alla fine del 2020 i rifugiati e richiedenti asilo nell’Ue-27 sono quasi 3,4 milioni. I due terzi delle richieste sono stati presentati in soli tre Paesi (Germania, Francia, Spagna) mentre l’Italia è quinta dopo la Grecia. Ringrazio la Fondazione Nazionale Assistenti Sociali per avermi dato l’opportunità formativa, condivisa assieme ad altri 100 colleghi delle Regioni d’Italia, con la partecipazione al corso TU.MI. VE.DI., per uno studio approfondito sulla necessità di avviare percorsi di tutela per i minori immigrati da violenza e disagio. Elementi di riflessione e conoscenza che proverò a sintetizzare in questo articolo.
Circa il 30% dei richiedenti asilo è rappresentato da minorenni, nel 2020 circa 141.490.
Un decimo di questi minori non è accompagnato da genitori o da figure adulte di riferimento.
L’88,5% di loro sono maschi e il 66,9% ha compiuto i 16 anni. L’Italia con 520 minori non accompagnati ne accoglie il 3,8% del totale.
Nel corso del 2020 I numeri sono cambiati. La Sicilia rimane la regione che ha accolto il maggior numero di Msna (minori stranieri non accompagnati), circa 2043. Si tratta di minori che sono arrivati tramite sbarchi via mare.
In questo contesto vorrei porre l’attenzione alla presa in carico e aiuto ai minori stranieri non accompagnati ritenuti soggetti particolarmente vulnerabili sia per la loro giovane età e perché privi di figure genitoriali di riferimento o adulti significativi che provvedano alla loro tutela e incolumità.
Abbiamo visto che la Sicilia più di tutte le altre Regioni è quella maggiormente coinvolta nella gestione del fenomeno migratorio e di tutte le emergenze ad esso collegate.
A tal proposito dobbiamo ricordare che l’Assemblea regionale siciliana ha approvato all’unanimità il 20 luglio 2021la nuova legge sull’integrazione e l’inclusione sociale degli stranieri.
Una legge che arriva con una certa lentezza rispetto al diritto interno e comunitario ma che in qualche modo si è proposta di attuare una regolamentazione dei bisogni e delle necessità di cui sono portatori i migranti che arrivano in Sicilia e si fermano nella Regione. La legge regionale n. 20 del 29 luglio 2021, disciplina diversi ambiti: assistenza sanitaria, istruzione scolastica, politiche abitative, sostegno all’integrazione sociale ed all’inclusione lavorativa, ruolo e compiti degli enti locali, ruolo delle associazioni e degli enti del Terzo settore. Sempre nei limiti delle competenze regionali, vengono individuati interventi integrativi a sostegno del diritto d’asilo, con particolare attenzione per i minori stranieri non accompagnati. La legge prevede anche l’istituzione di un elenco dei mediatori culturali, determinando il riconoscimento di una figura professionale centrale nel settore dell’accoglienza e dell’inclusione e colmando in parte un vuoto normativo che negli anni ha reso fragile la tutela di chi lavora in questo settore. Inoltre, la norma promuove misure di contrasto al caporalato e allo sfruttamento lavorativo e si pone come norma di particolare rilievo non solo per la tutela dei lavoratori immigrati, ma anche per gli inevitabili effetti sui lavoratori cittadini italiani, spesso vittime di sfruttamento al pari dei primi.
Rispetto ai Msna, dobbiamo fare riferimento soprattutto all’impianto normativo nazionale, la legge n.47/2017, meglio nota come legge Zampa.
Bisogna ricordare che fino al 2017 non esisteva a livello normativo, un sistema nazionale di protezione e di accoglienza dei ragazzi minorenni che arrivano sulle nostre coste da soli. La legge ha introdotto anche l’istituzione dell’Osservatorio permanente sull’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, istituito presso l’ISMU all’inizio del 2017 con lo scopo di analizzare esperienze significative di affido in famiglia e di tutore volontario nonché pratiche innovative di gestione dei minori non accompagnati in comunità.
La norma definisce anche chi si intende per minore straniero non accompagnato: ragazzi che non sono cittadini europei, che non hanno raggiunto la maggiore età e che si trovano nel territorio dello Stato privi di assistenza e rappresentanza di adulti per essi responsabili (cfr. EU; art. 2 Legge 7 aprile 2017, n. 47).
Considerando i dati a partire dal 2000, è possibile affermare che in Italia vi sia stato un notevole incremento di minori stranieri soli tra il 2014 ed il 2017, mentre negli anni precedenti venivano contate stabilmente intorno alle 8000 presenze. Le congiunture degli ultimi mesi hanno determinato una diminuzione significativa degli arrivi: infatti, al 31 dicembre 2019 risultavano nel nostro paese 6.054 ragazzi stranieri non accompagnati, il che faceva registrare ‘un decremento del 43,9% rispetto allo stesso periodo di rilevazione dell’anno precedente’ (Ministero del lavoro e delle politiche sociali, 2019, p. 2).
Nonostante queste oscillazioni, si può sostenere che la presenza di questi minori nel lungo periodo si configura come dotata di una certa stabilità, tanto da essere considerata strutturale e da esigere una legge apposita. Per l’appunto, in ragione delle convenzioni e dei trattati internazionali sui diritti dei fanciulli (ONU, 1989; COE, 1980; 1996), nel 2017 l’Italia ha emanato tramite la Legge Zampa specifiche “disposizioni in materia di protezione dei minori stranieri non accompagnati”, attraverso cui il superiore interesse dei ragazzi in questione viene tutelato.
In particolare, i primi articoli sono dedicati alla garanzia di eguale trattamento rispetto ai giovani italiani o dell’Unione europea e questo avviene, dapprima, attraverso l’assoluto divieto di respingimento alla frontiera del minore non accompagnato e, successivamente, assicurando strutture di assistenza ed accoglienza, oltre che promuovendo l’affidamento familiare (artt. 1-7 Legge n. 47/2017).
Nello specifico, la presa in carico dei minori stranieri non accompagnati implica soprattutto il prendersi cura della vulnerabilità mediante interventi tecnico-professionali finalizzati a costruire percorsi di benessere da intendersi non solo come benessere fisico ma anche e soprattutto benessere psicologico.
Molto spesso I protocolli di intervento dettati alla normativa recente mirano a soddisfare bisogni primari (accoglienza, tutela della salute fisica, interventi di primo aiuto come vestiario, alimentazione) tralasciando o ponendo in secondo piano il benessere psicologico che contribuisce in maniera incisiva ad una condizione generale di benessere.
Insistere sul trattamento e la cura della vulnerabilità è fondamentale. Situazioni di eccessiva vulnerabilità hanno ripercussioni negative sulla vita della persona e sul complesso delle sue relazioni (l’età, la situazione familiare, la salute fisica e psicologica, la sicurezza personale, esposizione a forme di violenza o abuso).
Ancora di più sono a rischio i minori per la situazione di fragilità in cui si trovano legata alla giovane età, per l’immaturità fisica e psicologica e a maggior ragione i minori immigrati soli, privi di figure adulte di riferimento. Le esigenze dei minori immigrati portatori di fragilità sono complesse e richiedono una presa in carico integrata in una prospettiva di accompagnamento di lungo periodo.
Da qui, l’esperienza professionale degli operatori sociali in grado di individuare e trattare la vulnerabilità anche con la costruzione di un sistema di relazioni in grado di supplire la carenza di risposte da parte del welfare pubblico.
Negli anni molti autori hanno insistito sul concetto di benessere e su come intervenire per costruire percorsi di benessere nello specifico per i minori stranieri mirando ad un concetto di benessere in una ottica olistica.
Ricordiamo Amartya Sen che parla di well-being associato alla capacità di compiere azioni di valore per essere persone di valore.
Samuel Gridley Howe che tanto si è occupato di educazione per i ciechi, ribadiva l’importanza del trattamento morale oltre che fisico delle persone con infermità.
Percorsi di aiuto finalizzati a costruire benessere. Componente fondamentale del benessere è una buona salute mentale. Infatti, le percentuali di disturbo post-traumatico da stress, depressione e ansia risultano essere importanti per i minori stranieri non accompagnati rispetto al resto della popolazione occidentale da farli ritenere una categoria particolarmente vulnerabile (von Werthern et al., 2019).
Com’è immaginabile, le cause di questi problemi sono state riscontrate da un lato nelle esperienze precedenti di questi ragazzi, a partire da quelle legate alla storia personale, come la separazione dalla famiglia o i pericoli del viaggio di migrazione, fino all’essere stati testimoni di eventi traumatici in nazioni lacerate da conflitti interni e condizioni umanitarie sfavorevoli, ma anche nei possibili traumi legati alla scarsa comprensione del sistema di accoglienza del paese ospitante, all’isolamento sociale, a fenomeni di razzismo (Chase et. al., 2019; Jensen et al., 2019; Wernesjö, 2012; Bronsteinet al., 2013; Barrie, 2011; Newbigging & Thomas, 2011; Wallin & Ahlström, 2005).
In altre parole, si può sostenere che essere minori stranieri non accompagnati costituisca un fattore di rischio, soprattutto per quanto riguarda la sfera emotiva (Derluyn & Broekaert, 2007): si tratta indubbiamente di una questione di cui chi si occupa di aspetti educativi deve tener conto, in quanto i ricercatori suggeriscono misure appropriate per l’accoglienza e la cura di questi giovani.
In merito, da una parte si sottolinea l’importanza di un adeguato sostegno psicologico (Becker Herbst et al., 2018; Kholi &Mather, 2003) e, dall’altra, viene ritenuto parimenti fondamentale promuovere la costruzione di relazioni interpersonali e la frequenza della scuola, in quanto si tratta di minori che hanno il medesimo diritto dei loro pari ad un pieno sviluppo cognitivo ed emotivo (Jensen et al., 2019; Bean et al., 2006;).
Altre posizioni considerano eccessiva l’enfasi della ricerca sugli eventi traumatici e le conseguenti problematiche psicologiche poste in associazione negativa con i livelli di well-being e propongono che debba venire quantomeno accostata a studi che approfondiscano fattori protettivi e processi positivi in prospettiva emica (Maegusuku‐Hewett et al., 2007).
Ovvero, è indispensabile allenare lo sguardo per considerare i minori stranieri soli non come vittime passive, bensì come persone in potere di fare, sebbene in una posizione di vulnerabilità (Johansen & Studsrød, 2019; Wernesjö, 2012). In questa direzione muovono le indagini che si basano sul paradigma della resilienza (Johansen & Studsrød, 2019; Bjerneld, et al., 2018; Bronstein, et al., 2013; Wernesjö, 2012; Maegusuku‐Hewett et al., 2007). Definita come la capacità di fare bene nonostante le esperienze avverse, coinvolge tre dimensioni: individuale, relazionale e sociale.
In particolare, Johansen & Studsrød (2019) sostengono che la letteratura abbia dimostrato che le relazioni, come aiuto e sostegno da parte degli adulti, contribuiscono in modo significativo alla resilienza nei bambini e nei giovani e ne individuano due fulcri: l’empatia reciproca e il coinvolgimento. Bjerneld, et al. (2018) fanno riferimento a ricerche precedenti per sottolineare che il supporto da parte degli adulti ai minori stranieri non accompagnati può venire categorizzato in tre dimensioni: la prima è quella della coesione e vi rientrano tutte quelle azioni volte a porre ordine e a soddisfare le esigenze pratiche.
Lavorare nella prospettiva dell’immediatezza ha come obiettivo stabilire un rapporto di fiducia con i ragazzi. La seconda categoria è quella della connessione, per cui è necessario l’ascolto delle storie dei minori da parte delle figure di riferimento: facilitare l’esplicitazione dei sentimenti, consente a questi giovani di provare una sensazione di controllo ed essere di conseguenza pronti a pianificare il futuro. Infine, la dimensione della coerenza ha a che fare con il supportare nel lungo periodo i ragazzi nell’organizzazione del quotidiano e dei progetti di vita.
Prendersi cura della vulnerabilità: l’importanza del lavoro di rete quale strategia di intervento.
Tra I compiti propri della professione dell’assistente sociale la capacità di costruire reti di relazioni e nello specifico anche, per la individuazione e il trattamento della vulnerabilità.
Quando parliamo di reti ci riferiamo ad un sistema di relazioni che riguardano aspetti differenti della società civile ossia reti sociali primarie, web e social networks, relazioni umane e capitale sociale, movimenti sociali e di reti, reti del e nel welfare (sanità, istruzione, assistenza), reti di imprese, partnership di sviluppo locale, reti infrastrutturali.
Il lavoro di rete è contraddistinto da fasi ben precise: centralità dell’individuo quale risorsa in grado di creare legami e destinatario di legami; analisi delle situazioni, dei conflitti; analisi dei processi.
Nello specifico il fenomeno migratorio può essere letto sia sotto l’aspetto di rete di relazioni interpersonali che come sistema di reti territoriali (i paesi di origine come nodi invianti, i paesi di arrivo come riceventi).
La persona migrante è un individuo inserito in una rete (il paese di provenienza, le persone della famiglia, i parenti, gli amici, il vicinato, il sistema politico-sociale di provenienza, il paese che lo accoglie e il sistema di reti di relazioni che avvierà).
Pertanto, il lavoro di rete supera la definizione classica di case work, group work e community work perché li integra e va oltre le differenze metodologiche verso un sistema olistico di intervento dove assumono rilevanza il complesso dei soggetti attori e destinatari di interventi, i nodi della rete che verranno individuati e sollecitati così come assumerà importanza il complesso delle relazioni che si svilupperanno.
Seguendo questa metodologia si potrà costruire un processo di aiuto mediante la attivazione di un sistema coordinato di servizi e di interventi.
Si potranno avviare percorsi di integrazione a diversi livelli: istituzionali tra servizi diversi coinvolti; professionali tra figure diverse che si occupano del caso o dell’area problema; di integrazione a livello gestionale. Una logica di intervento che mira a realizzare interventi flessibili, unitari e che promuove advocacy e nuove forme di mediazione.
Si procede verso una nuova dimensione del servizio sociale, il servizio sociale trasformazionale appunto perché si esaminano le relazioni tra soggetti dell’accoglienza e la società civile; si costruiscono reti e coalizioni con movimenti sociali che possono essere alleati nel perseguire una giustizia sociale e ambientale; si pensano interventi di policy practice e di social advocacy rispetto alla risposta dei territori al tema della vulnerabilità dei minori stranieri.
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