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Anelli (Fnomceo): “Rendere più attrattiva la sanità pubblica, far sentire i medici al sicuro”
Sono 270mila i medici specialisti italiani attivi sul campo. Lo rileva un’analisi condotta dal Cogeaps, il Consorzio della Gestione anagrafica delle professioni sanitarie, che ha elaborato una stima quantitativa dell’attività svolta dai professionisti iscritti agli Ordini dei Medici e degli Odontoiatri sulla base della formazione prevalente, i cui risultati saranno resi noti nei prossimi giorni e sono stati oggi parzialmente anticipati alla Fnomceo, che di tali Ordini è la Federazione nazionale.
“Un numero complessivamente alto – commenta il Presidente del Cogeaps, Roberto Monaco, che è anche Segretario Fnomceo – che coincide in maniera sostanziale con i dati della Fnomceo, considerando che non tutti i medici comunicano i loro titoli e che il titolo di specializzazione non sempre combacia con l’attività esercitata”.
“Se però – specifica – andiamo a vedere il quadro demografico, ottenuto incrociando i dati Cogeaps con quelli Fnomceo, notiamo due fenomeni. Il primo è che siamo ormai arrivati al picco della cosiddetta “gobba pensionistica”, il grafico che conta i professionisti in uscita: la fascia di età tra i 64 e i 73 anni è infatti quella numericamente prevalente per tutte le specialità. Il secondo, ancora più preoccupante, è che si nota un netto calo dei giovani medici che scelgono alcune specialità considerate più a rischio di denunce o comunque con un peggior rapporto tra gratificazioni e frustrazioni. Ecco allora che, mentre in alcune specialità, come allergologia, dermatologia, epidemiologia, il numero di medici con meno di 34 anni è confrontabile con quello della fascia di età successiva, i giovani anestesisti sono meno della metà di quanti ci si attenderebbe per mantenere costante nel tempo il loro numero. E così i cardiochirurghi, i chirurghi generali, i ginecologi-ostetrici”.
“Questo andamento fa il paio con i dati diffusi ieri dal sindacato Anaao-Assomed – aggiunge il Presidente della Fnomceo, Filippo Anelli – sulle “borse” di specializzazione non assegnate o abbandonate: le branche che sono state le più sollecitate durante la pandemia, insieme a quelle che già da prima hanno maggiori oneri e minori onori, come la medicina di emergenza-urgenza, sono ora le meno ‘gettonate’. Mentre le più richieste sono le specialità che consentono di trovare impiego nel privato o di svolgere la libera professione”.
“Se a questi numeri aggiungiamo quelli sui mille medici che ogni anno si trasferiscono all’estero, o, ancora, quelli sul boom di cause e denunce che, come titolava La Stampa pochi giorni fa, conta oltre 300 mila processi pendenti nei palazzi di giustizia, anche se la responsabilità medica viene accertata solo nel 15% dei casi, gli indizi diventano una prova: il nostro non è un Servizio sanitario nazionale per giovani”.
“Bisogna agire – conclude Anelli – e bisogna farlo subito. Il rischio è quello di una sanità pubblica depauperata di specialisti, soprattutto in alcune branche. È inutile aumentare gli accessi a Medicina se non si rende attrattiva la professione, soprattutto in quei settori dove la qualità di lavoro e di vita degli operatori è ormai ai minimi termini. Occorre dunque investire sui professionisti, sugli organici, sulla sicurezza, sulle condizioni di lavoro. E, contemporaneamente, far sentire protetti i medici, tutelandoli da controversie temerarie, fermo restando il diritto del cittadino al giusto risarcimento. Non sono più rinviabili interventi normativi che, attirando i professionisti, salvino il nostro SSN da una fine certa per consunzione”. Ufficio Stampa Fnomceo