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Normalità e patologia nei bambini

Normalità e patologia nei bambini

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di Emidio Tribulato*

È difficile definire cos’è la normalità in un bambino. Tanto difficile che le stranezze, nel campo della neuropsichiatria infantile, sono numerose. Intanto l’osservare o non in un bambino delle problematiche psicologiche, dipende molto dalla sensibilità e dalle capacità di discernimento dell’osservatore. Alcuni hanno notevoli difficoltà a notare elementi sicuramente patologici; altri, al contrario, giudicano come necessari di particolari attenzioni comportamenti molto vicini alla norma, se non perfettamente normali. Come conseguenza di ciò i bambini potrebbero essere giudicati normali o disturbati in base alla sensibilità, all’attenzione e alle caratteristiche psicologiche degli adulti che li osservano e che si relazionano con loro, ma anche all’ambiente frequentato

Ad esempio, i pediatri spesso sono assaliti dalle ansie dei genitori che evidenziano nei figli dei comportamenti insoliti: disturbi del sonno, pianto frequente, rifiuto del cibo, atteggiamenti isterici, lamentazioni ipocondriache, paure, fasi regressive, atteggiamenti ossessivi, tic, ecc. Tuttavia, molti di questi sintomi, per fortuna, con il trascorrere del tempo, scompaiono senza lasciare tracce. Al contrario, alcuni genitori non notano nulla di strano nel loro figlio, fino all’ingresso nella scuola ed è soltanto dopo la segnalazione degli insegnanti che si accorgono dei problemi dei loro piccoli. Inoltre è noto come madri e insegnanti concordino sulla valutazione di alcuni sintomi, come i tic, le balbuzie, il mentire, il rubare, i comportamenti iperattivi, ma non sono affatto d’accordo sulla valutazione di sintomi più profondi e gravi come la chiusura, la tristezza, la ritrosia, l’isolamento.

Altre situazioni discordanti possono riguardare l’ambiente e le persone. Alcuni bambini sono infelici e inibiti a casa, ma non a scuola, mentre altri sono obbedienti e facili da controllare tra le mura domestiche, ma ribelli e difficili da gestire nella aule scolastiche. In definitiva, in base all’ambiente nel quale il minore è inserito e alle persone con le quali si relaziona, possono presentarsi o non dei comportamenti e dei sintomi che possono impensierirci.

Infine sappiamo bene come sia i familiari sia gli insegnanti si mettono facilmente in allarme quando i bambini manifestano atteggiamenti di eccessiva vivacità, intraprendenza e reattività, piuttosto che quando sono tranquilli, appartati e apatici. Questo diverso modo di manifestare la sofferenza e il disagio può spiegare, almeno in parte, il maggior numero di maschi che sono segnalati come bambini con problematiche psicologiche.

I motivi di queste “stranezze” sono noti.

Per Freud non c’è differenza tra la persona sana e quella affetta da nevrosi. Entrambe presentano gli stessi tipi di conflitti, utilizzano gli stessi tipi di difese, attraversano nella loro infanzia gli stessi stadi di maturazione (De Ajuriaguerra, Marcelli, 1986)[1]. E così come per gli adulti anche tutti i bambini normali, come dice Melania Klein, hanno problemi inconsci non risolti e utilizzano gli stessi sistemi di difesa dei bambini patologici, per cui la presenza di uno o più sintomi non è un sicuro indice di patologia. Per tali motivi, quasi tutti i sintomi presenti in un bambino disturbato possono, almeno per qualche tempo e con minore gravità, manifestarsi anche in un bambino perfettamente normale.

I bambini sono, per definizione, esseri in evoluzione. Ciò significa che ogni bambino presenta, nei vari stadi di sviluppo, vari cambiamenti e momenti di crisi. Pertanto, durante il corso della sua vita possono essere presenti dei sintomi e dei disturbi che scompaiono in una fase successiva o sono sostituiti da altri.

Come distinguere allora un bambino con problemi da uno normale?

Questa distinzione si può fare solo tenendo presenti alcuni parametri:

  1. La quantità e varietà dei sintomi. I bambini normali hanno pochi sintomi che segnalano un disagio, i bambini disturbati ne hanno molti e molto vari.
  2. La qualità dei sintomi presentati. Vi sono dei sintomi molto frequenti, mentre altri sono più rari. Per cui, la presenza di più sintomi rari fa pensare ad una patologia del bambino.
  3. L’età del minore. Vi sono delle età nelle quali alcuni comportamenti, ad esempio il balbettio, le paure, l’enuresi o l’encopresi, sono frequenti, mentre in altre età si evidenziano raramente. La presenza, quindi, di condotte non usuali per l’età, può far pensare ad una patologia.
  4. L’intensità dei sintomi. Anche l’intensità dei sintomi è importante per distinguere la patologia dalla normalità. Ciò vale per quasi tutti i sintomi: ansia, paura, irrequietezza, instabilità, aggressività, e così via. Se, ad esempio, un bambino chiede di dormire nel lettone dei genitori ma desiste facilmente, la preoccupazione per eventuali problemi psicologici del bambino sarà modesta, ma se ha assoluta necessità di dormire nel letto dei genitori, in quanto lontano da loro cade in preda al terrore e agli incubi, quest’evenienza assume maggior peso, nella complessiva diagnosi di bambino con disturbi psicologici.
  5. La durata di un sintomo. Ritornando all’esempio precedente, se un bambino piccolo chiede solo qualche volta di dormire nel lettone dei genitori, ad esempio quando ha l’influenza o altri malesseri organici, in quanto insieme a loro, si sente più sicuro e tranquillo, non ci dovremo molto preoccupare; se, invece, questo problema si prolunga negli anni, questo particolare sintomo assumerà un valore maggiore.
  6. L’esame delle linee di sviluppo del minore. Se, pur con oscillazioni varie, l’esame dello sviluppo del minore evidenzia una progressiva e armonica evoluzione delle varie aree, si può ragionevolmente suppore che la vita di questo bambino stia procedendo normalmente. Se, invece, in una o in più aree, vi è un rallentamento, un blocco o peggio una stabile regressione nello sviluppo, questo dato ci permetterà di pensare che qualcosa di importante stia turbando la psiche del bambino. In definitiva bisogna aggiungere, agli elementi precedenti, anche quello che De Ajuriaguerra e Marcelli (1986)[2] chiamano una valutazione economica. Questa valutazione ci permette di capire se i sintomi presentati dal bambino riescono a contenere l’angoscia conflittuale, permettendo il movimento maturativo del piccolo, oppure si dimostrano inefficaci nel frenare l’angoscia che si presenta di continuo, la quale suscita nuove condotte sintomatiche ed ostacola il movimento maturativo. Ciò vale per l’intelligenza, per il linguaggio, per gli apprendimenti, ma anche per l’autonomia, per le capacità di comunicazione e socializzazione, così come per tutte le altre aree.

[1] De Ajuriaguerra J.,  Marcelli D., (1986), Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia  Editori, p. 48.

[2] De Ajuriaguerra J.,  Marcelli D., (1986), Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia  Editori, p. 47.

Emidio Tribulato – Medico, psicologo, specialista in neuropsichiatra adulti e infantile