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Noterelle riabilitative del padre del libraio: “Day Hospital”

Noterelle riabilitative del padre del libraio: “Day Hospital”

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di Filippo Cavallaro 

Lu’ frequentava spesso il Day hospital per il protocollo specifico della chemioterapia. Non si lamentava, anzi dava conforto ed assistenza agli altri degenti. Anche quando era ricoverata si prodigava ad offrirsi per consigliare ed aiutare.  

Ho letto un libro che mi trovai ad acquistare nei pressi di Milano Centrale, per leggerlo sul treno. Incuriosito perché l’autore Valerio Evangelisti è colui che ha raccontato il personaggio di Eymerich inquisitore. Non era però un libro sul medioevo o i processi contro gli eretici. La copertina mi attrasse per l’immagine anatomica del cuore, poi l’autore ed il titolo “Day Hospital” mi attirarono. Ho scoperto che si trattava di un diario dal 7 marzo 2010 al 29 ottobre 2012, proprio quello tenuto dall’autore durante la sua esperienza di malattia. Cancro! 

Evangelisti descrive la stanchezza, la fatica, la debolezza, in termine tecnico la “fatigue”, come uno dei sintomi più debilitanti del cancro e delle terapie usate per combatterlo. Contesta che non venga preannunciata al momento in cui si presentano i rischi legati alla malattia ed alle cure. La descrive come una spossatezza estrema e persistente che gli ha reso difficile svolgere anche le più semplici attività quotidiane.  

Il presentarsi di questa debolezza può essere riconducibile a molti fattori che costringono al cambiamento nel funzionamento dell’organismo: indotti dal cancro; causati dagli effetti dei trattamenti farmacologici; derivanti dalle ricadute psicologiche. Cercando di specificarli meglio, all’effetto debolezza concorrono: l’anemia, che può essere causata dalla chemioterapia, dalla radioterapia o dallo stesso tumore; i disturbi del metabolismo che possono insorgere come risposta al tumore rendendo meno efficiente il modo in cui l’organismo produce energia; le terapie che possono indurre diversi cambiamenti in grado di generare la fatigue; i problemi alimentari, dalla nausea al vomito che possono portare alla perdita di appetito; il dolore sia localizzato che diffuso; i disturbi del sonno; la sofferenza psichica. Se alcuni, lentamente, riescono a recuperare le energie, per molti l’effetto cronicizza in un esito di “fatigue cronica”, sempre presente in maniera disabilitante. Chi c’è passato, come l’autore nel suo diario, riferisce di sentirsi completamente svuotato di ogni energia, di sentirsi la testa vuota e di avere difficoltà a concentrarsi, a prestare attenzione, a parlare. 

Lu’, in quanto fisioterapista, sapeva dell’importanza del movimento come strumento per mantenere efficiente il corpo, anche in condizioni patologiche, in quanto nell’azione è insito un consumo energetico, ma anche un richiamo di risorse per quelle strutture attivate, ed il necessario smaltimento dei rifiuti … metabolismo / catabolismo. 

Conosceva le conseguenze dovute alla diminuzione delle riserve fisiologiche ed al declino della funzione di organi ed apparati, che possono arrivare a compromettere la capacità di far fronte ai fattori di stress quotidiani o acuti. 

Vivendo la malattia ha misurato su sé stessa la fragilità, e lo stato clinico di persona con aumentata vulnerabilità. 

Si rese conto del passaggio dalla terapia per la malattia alla cura palliativa, quando si cercò solamente di ridurre la sofferenza. 

Quando aveva cominciato a frequentare il Day hospital aveva cercato di assistere gli altri a migliorare la qualità della vita, senza l’obiettivo di recuperare la funzione lesa, a volte addirittura demolita chirurgicamente, aiutando nel percorso individuale di consapevolezza della disabilità e del cambiamento corporeo. 

Come fisioterapista interveniva sul significato, sulla motivazione al movimento attraverso una particolare relazione corporea. Anche se piccoli, lenti o deboli i gesti e le azioni della vita quotidiana danno significato al corpo e lo guidano a restare attivo, vivace, pronto. 

Incontrava le persone che come lei vivevano quella trasformazione, erano coinvolte in quella deriva, metabolizzavano insieme le modificazioni dell’immagine del sé indotte da quella malattia incurabile, mortale. 

Nell’avvicinarsi alla fine manteneva, con gli altri, l’immagine di una persona e del proprio progetto di valorizzazione di quanto vive, di ciò che ha vissuto, di ciò che è cambiato, e sta cambiando. 

In Italia dal 2010 c’è la legge 38 per salvaguardare la dignità della persona, per garantire la migliore qualità di vita e Lu’ è stata, con la sua obbligata presenza nel Day hospital, il freno alla disperazione, alla sofferenza, alla frammentazione sua e dei suoi compagni d’avventura.