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di Filippo Cavallaro
Tra i primi libri di riferimento in queste “Noterelle” ci fu per la festa del papà del 2019 quello di Maturana e Varela, “L’albero della conoscenza”, vera pietra fondante il mio pensiero clinico, insieme ad un testo di Gianni Rodari che mi porto dall’esperienza scout “Grammatica della fantasia”.
I due autori cileni mi descrivevano un corpo capace di funzionare e di conservare dei “domini” modificando la propria organizzazione per affrontare la malattia ed i suoi esiti. Si potevano scoprire nuovi domini, che potevano essere occasione di nuove opportunità di sviluppo o adattamento.
La malattia era quindi una perturbazione da intendere come l’occasione, l’opportunità che ha la persona di operare e quindi mostrare l’efficienza dei propri domini.
Tra le perturbazioni che il corpo affronta ci sono quelle di contatto soprattutto quando per un problema, una sofferenza, una malattia, viene toccato da chi propone la fisioterapia.
Il tocco, la presa, … la guida sono caratterizzanti, come una firma, ogni fisioterapista.
Poi qualche “Noterella” dopo descrivevo un dialogare con il corpo per conoscere la condizione, uno scoprire insieme alla persona come funziona il suo corpo per guidarla ad affrontare la malattia. Invitavo chiunque lavori in Sanità a riflettere su quanto, e come, è sensibile una persona, ancora di più un ammalato, preoccupato per la propria salute. In quella condizione la persona oltre all’esperienza di ciò che avviene all’interno del corpo, tra i vari organi e tessuti, oltre a quanto vissuto della grande superficie recettoriale della cute, gestisce uno spazio peripersonale che non è del corpo in quanto struttura fisica, ma è della persona, che subisce, che governa, che si adatta ad ogni singola perturbazione.
Nei giorni scorsi mi è passato per le mani un altro libro di Maturana e Varela “Autopoiesi e cognizione” che possiedo da quando il mio figlio libraio aveva 4 anni.
L’ho cercato perché qui vorrei fare una riflessione su un concetto che, nella dinamica degli esseri viventi, è chiaro per chi si interessa di sistemi autopoietici in neurofisiologia ed è proprio la parola che dà il titolo a questo testo: deriva.
Nel 1984, i due autori, con la pubblicazione del testo “L’albero della conoscenza” alla deriva naturale degli esseri viventi dedicano un intero capitolo, il quinto, e nel successivo esponendo il concetto dei domini comportamentali pongono, con i loro esempi, gli uomini “in carne ed ossa” a declinare le loro potenzialità e le loro scelte.
Quando preparai le lezioni di Fisiologia per gli studenti dell’Università di Palermo, proposi questo testo, e, per il capitolo 5, li guidai nelle riflessioni tra vincolo e possibilità, mentre per il 6 tra caso ed evento.
Mi affascinava l’esempio che portavano gli studiosi cileni: Ulisse che passa lo stretto di Messina, una odissea epistemologica, tra il vortice del solipsismo (Cariddi) ed il mostro del rappresentazionismo (Scilla). Un modello nel quale è Ulisse che prende la decisione cercando di superare il dilemma per cui il futuro, l’uscita dalle perturbazioni dello stretto era possibile non facendosi attrarre né da Scilla né da Cariddi, no dal rappresentazionismo né dal solipsismo, ma rispettando la coerenza della vitalità del proprio corpo.
Avevo conosciuto il professor Carlo Perfetti in una conferenza a Siena nel 1978, e mi aveva incuriosito come studiavano gli studenti del corso che lui dirigeva a Pisa. Lo studio del movimento umano basato sulle ricerche che la scuola di Pavlov aveva portato avanti dopo la scoperta dei meccanismi cerebrali dell’apprendimento condizionato. Ipotizzare che si può continuare ad apprendere in condizioni patologiche era una nuova opportunità per le persone con disabilità ed un nuovo campo di studio per me fisioterapista. Il riferimento scientifico era ora Anochin.
Dopo qualche anno, Maturana e Varela arricchirono con il concetto di autopoiesi, e le teorie di autoorganizzazione proprie delle strutture biologiche e degli esseri viventi. Deriva è una parola loro, sostituiva il feedback, che era stato introdotto da Anochin con il suo modello cibernetico, che a sua volta ampliava il concetto lineare di Sherrington la sequenza stimolo-risposta e i riflessi.
La “scatola nera” che poco aveva interessato gli psicologi veniva svelata dai fisiologi e diventava affascinante.
Perfetti colse l’importanza del concetto sistemico di autopoiesi per la riabilitazione neurocognitiva, perché trovava corrispondenza nella sua idea di circuiti senso-motori, e rompeva con il modello meccanicistico basato sostanzialmente su una visione anatomica e non funzionale del sistema nervoso e dell’apparato muscolare.
Puntava alla capacità di sostituzione e di plasticità del sistema nervoso nonostante la sua specializzazione. Considerava il movimento del corpo come una forma di conoscenza che, in condizioni patologiche, poteva essere appresa dal soggetto con danno al sistema nervoso. Ci ha fatto studiare il linguaggio del corpo e come interloquire con lui attraverso il movimento.
Deriva è diventato un termine usato in molti ambiti, forse poco nella fisioterapia e nel recupero dei danni motori però la riflessione, di quanto possono essere barriera il contesto assistenziale, l’approccio clinico e l’esercizio terapeutico, la dobbiamo fare. Così come dobbiamo considerare le barriere come limitazione della libertà e del diritto alla salute.