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Noterelle riabilitative del padre del libraio “Fatalità”

Noterelle riabilitative del padre del libraio “Fatalità”

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di Filippo Cavallaro

Se n’è accorto Jaan Roose, lo slackliner estone, che ha attraversato a piedi lo Stretto di Messina, antico crocevia di storie e di miti, di meraviglia e di tragedia. Non ha battuto il record mondiale, in quanto a circa ottanta metri dall’arrivo al pilone di torre faro, ha perso l’equilibrio, non completando il percorso. È caduto ma ha ripreso la posizione per concludere la camminata. Ha completato l’impresa affermando la possibilità di attraversamento sulla slackline, una fettuccia larga 1,9 cm, e tesa per oltre 3600 metri a più di 200 metri di altezza, tra i piloni di quello che fu l’ex elettrodotto dello Stretto.
L’allenamento di Jaan Roose varia a seconda degli obiettivi, ma è sempre molto intenso. Camminando sulla slackline anche una breve distanza può essere massacrante, nulla può essere lasciato al caso, paura, fatica e dolore sono compagnie non evitabili. Tanta parte dell’allenamento è incentrata sull’imparare a convivere con queste sensazioni, a controllare il proprio corpo senza farsi sopraffare, soprattutto in situazioni non familiari, o di fronte al pubblico.
Il suo curriculum sportivo ha spaziato tra parkour, free running e acrobatica, poi nel 2010 il “colpo di fulmine” con la slackline. Dopo i primi incerti passi, ha iniziato presto a compiere i primi trick (soluzioni) ed a gareggiare con il desiderio di spingersi “oltre”. Jaan ha così iniziato non solo a partecipare alle competizioni internazionali, ma, con il corretto appesantimento del gesto atletico in virtù/servitù delle cinghie e delle imbragature, quella di sicurezza ancorata al filo, e quella di emergenza con un moschettone disponibile per un verricello, soprattutto a tendere la fettuccia in posti sempre più pericolosi ed impensabili, percorrendo distanze sempre più lunghe e sfidando le condizioni ambientali e meteorologiche.
Almeno due fattori esterni sullo Stretto possono essere un problema il primo il meteo, in particolare il vento può trasformarsi in un nemico invisibile, il secondo la lunghezza della fettuccia che, durante lo svolgimento della camminata/traversata, sollecitata dal peso dello stesso atleta, da tesa e orizzontale, si modifica diventando una discesa per più di cento metri all’inizio, ed una salita alla fine.
Il vento sullo stretto, non può essere considerato fatalità, è di casa e nel romanzo che più di tutti incarna appieno lo spirito dello Stretto, Horcynus orca di Stefano D’Arrigo, è descritto molte volte e sempre con puntualizzazioni e chiarimenti che lo fanno quasi percepire. ” Perché, se Ferdinando Currò dava dei segni, si spuliciava tutto come uscisse dal letargo, ci potevano puntare che quello era scirocco a doppio gusto, di levante e di ponente.” Currò u Nunnavu che con gli altri anziani passa tutto il tempo sulla spiaggia a parlare di pesca, di pesci, di mare, di vento, di vele, di remi, di lanzate …
“Lo scirocco non è vento di carattere, vento sempre a una faccia e sempre netto di faccia, non è, tanto per dire, greco o maestro, che persino un muccoso alla fine ci sa leggere. Lo scirocco è vento africanazzo su cui non si può fare il minimo assegnamento, perché il nome è uno e le razze sono tante. Per lo scirocco ci vuole l’indovino per sapere come e dove ti piglia, se ne viene uno o una mandria, se viene per allisciarti bavabava o per graffiarti la faccia e accecarti coi suoi granelli di sabbia, e se si getta in calmerìa o se ti gonfia tutto. Eppoi, quando te ne scandalii, lui ormai s’è piazzato, perché non è vento di vista, è vento cascettone, spalmato di vasellina, che arriva nell’eccetera e solo allora senti la sua presenza… Per questo, ci vuole l’indovino, ci vogliono vecchi che hanno rughe di ottantanni, pieghe strette e profonde come nascondigli nella memoria, per cui riescono a calamitarlo e a spremerne il succo, biondo e nero: perché i vecchi pellisquadre, i mummioni seduti tutto il giorno in faccia al mare, lo scirocco se lo desiderano come il trinciato forte, non possono più fare a meno di quel veleno, che prima li risuscita, li ringiovanisce magari di dieci, ventanni, e poi li lascia più morti che vivi.”
Il trentaduenne atleta della Red Bull è partito alle 8:46 di mercoledì 10 luglio dal pilone di Santa Trada a Villa San Giovanni e tre ore dopo, alle 11:44, ha raggiunto il pilone di Torre Faro, a Messina. Purtroppo, essendo caduto a circa 80 metri dall’arrivo il record non può essere certificato, ma l’impresa visto che dopo la caduta si è rialzato ed ha continuato è compiuta. Jaan Roose è la prima persona che ha attraversato a piedi lo stretto su una fettuccia.
Tornando al vento, la zona dello stretto di Messina risulta compresa tra due importanti sistemi montuosi: l’estremo lembo nord-orientale della catena dei Peloritani ed il massiccio dell’Aspromonte. Questa particolare configurazione orografica esercita una marcata influenza sulle condizioni del tempo, in quanto l’area dello Stretto si va restringendo, procedendo da sud verso nord; il che provoca l’effetto di imbuto, come un “tubo di Venturi” agisce sulle correnti aeree quando queste provengono dal meridione, soprattutto negli strati più bassi dell’atmosfera. Lo Scirocco, infatti, s’identifica con un flusso d’aria calda d’origine africana, che viene attivato quando tra la Sardegna ed il golfo di Genova si crea una zona di bassa pressione atmosferica provocando il richiamo di aria dalle zone a pressione maggiore e nello stretto un vento di “risucchio” verso l’area tirrenica,
Per compiere la traversata tra Calabria e Sicilia, Jaan Roose ha dimostrato coraggio, audacia, fermezza, costanza, ma anche consapevolezza e rispetto del proprio corpo, equilibrio, forza, resistenza, competenza delle proprietà emergenti nel cammino. Queste ultime fondamentali per affrontare le sorprese che ha mostrato il percorso. Non solo la distanza di 3.600 metri, o il dislivello di 35 metri, tra il punto di partenza, ancorato sul pilone di Santa Trada ad un’altezza di 265 m slm, ed il punto di arrivo, ancorato a 230 metri sul pilone di Torre Faro. Le sorprese si sono susseguite nella traversata dalla tipologia di inclinazione della fettuccia all’inizio che ha reso dura la discesa, il dondolamento che lo portava ad inciampare, i salti che faceva la slackline a metà percorso, le tensioni in avanti ed indietro della fettuccia, la salita dell’ultimo tratto di una difficoltà inaspettata. Una competenza che come dicevo non è di un gesto atletico, ma di una performance in cui l’interazione con il contesto tecnico e con l’ambiente naturale ha richiesto di compiere tanti trick, espressione di una capacità di esprimere il cammino in condizioni particolari.
Jaan ha superato anche l’effetto dello “straniamento” come diceva D’Arrigo, quello della meraviglia del paesaggio, dell’acqua trasparente sotto la slackline, dell’imponenza del pilone, delle barche che si sentivano passare. Non ha superato, fatalità, lo straniamento del rumore. Avvicinatosi a Torre Faro, gli scooter lo hanno distratto … è caduto. L’imbragatura di sicurezza l’ha trattenuto al filo, un gesto collaudato gli ha fatto risalire la corda dell’imbrago, tenendosi con una mano alla slackline mentre con l’altra realizzava sulla corda risalita un’asola dove posare il piede come su una scala di corda per raggiungere la slackline e così concludere l’impresa da campione, anche senza il riconoscimento del record.