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di Filippo Cavallaro
“A canni sa manciau a jatta!”
Questa l’affermazione che spontaneamente ho rivolto a Lilla, signora della rianimazione covid, tracheotomizzata, che da qualche giorno, recuperando le funzioni respiratorie e la forza, malgrado l’importante ipotrofia, comincia a mettere in moto i suoi muscoli, ad eseguire esercizi durante la fisioterapia, e non ha più bisogno dell’igiene motoria con la chinesi passiva. Ora può scegliere i movimenti da compiere, per quanto limitati dalla debolezza e dalla postazione di una terapia intensiva con cavi, tubi, derivazioni e strumentazioni di sostegno e monitoraggio costante.
La frase in siciliano è venuta fuori nel guardarla mentre amareggiata controllava i polpacci, che toccava … “spolpati”.
Ha alzato la sguardo e penetrando la visiera con il suo sorriso sdentato si è lasciata andare ad una risata, resa muta dalla tracheo, eppure piena, soddisfatta.
Il riferimento al gatto, che, impertinente, nella tradizione popolare, ruba la carne alla massaia, liberando tutti dal dubbio di un furto, o dall’appropriazione indebita, da parte di un familiare, mi ha fatto ricordare un altro gatto più che impertinente. Furbo ed imbroglione, un gatto astuto e burlone, che tanto aiuto diede al figlio del mugnaio, suo padrone.
Il “Gatto con gli stivali”. Questa è un’antica novella già raccolta e pubblicata per un pubblico più malizioso nel 1550 da Zoan Francesco Straparola in “Le tredici piacevolissime notti”. Poi divenuta famosa grazie alla versione francese, tra le favole di Charles Perrault, 1695.
Mi permetto di rinfrescare la storia: Alla morte del padre, un vecchio mugnaio, il più giovane dei tre figli eredita un gatto. Senza un soldo in tasca e non sapendo cosa fare di un tale regalo, pensa di mangiarlo ma il gatto si rivela dotato di parola. L’animale ha un sacco e un paio di stivali, ed è determinato a fare la fortuna del suo padrone. A questo scopo, il gatto cattura un coniglio nella foresta e lo offre al re come regalo del suo padrone, il marchese di Carabas. Porta regolarmente della selvaggina al re per diversi mesi. Un giorno, sapendo che il re e sua figlia stanno viaggiando lungo il fiume, il Gatto persuade il suo padrone a togliersi i vestiti e ad entrare nel fiume. Nasconde i vestiti del suo padrone dietro una roccia e chiama aiuto. Quando il re arriva, il Gatto spiega che il suo padrone, il «marchese di Carabas» è stato derubato dei suoi vestiti mentre faceva il bagno nel fiume. Il re offre vestiti ricchi al giovane e lo invita a sedersi nella sua carrozza al fianco di sua figlia, che si innamora all’istante di lui. Il gatto corre davanti alla carrozza e ordina alla gente che incontra lungo la strada di dire al re che quelle terre appartengono al marchese di Carabas. Entra poi in un castello abitato da un orco capace di trasformarsi in qualsiasi animale. L’orco lo riceve civilmente come può, e si trasforma in un elefante per dimostrare le sue capacità, spaventando così il gatto con gli stivali. Quest’ultimo gli chiede allora se è in grado di trasformarsi in un topo. L’orco esaudisce quanto desiderato e corre, il gatto gli salta addosso e lo divora. Quando il re arriva al castello che apparteneva all’orco, è impressionato dai beni del «marchese di Carabas», offre la mano di sua figlia al ricco gentiluomo. Poco dopo, il Gatto diventerà un nobile signore.
Le favole aiutano i bambini, e non solo, ad identificarsi con il personaggio principale, meglio se il racconto è ricco di avventure e colpi di scena abilmente superati dal protagonista. Nel Gatto con gli stivali non si deve scegliere tra il bene ed il mare ma si scopre che si può riuscire a sopravvivere nelle difficoltà.
Lilla avrebbe preferito non ammalarsi, ed in caso di non arrivare in rianimazione, meno che mai di non farcela con il supporto niv ed obbligare alla procedura della tracheotomia. Tante disavventure che la risata, coronando il piccolo successo dell’abilità a stare seduta senza sostegno, possa portare a migliori traguardi. Infine un rimando etimologico al muscolo che il gatto, attirato dal suo guizzare, … “manciau”.