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di Filippo Cavallaro
Il miraggio che si vive leggendo “L’invenzione di Morel”, romanzo di Adolfo Bioy Casares, pubblicato nel 1940 e riedito nel 2017 da Sur per la traduzione di Francesca Lazzarato, corrisponde alla ricerca di un punto di vista diverso per osservare e valutare come una persona esegue dei compiti motori durante gli esercizi di riabilitazione neurocognitiva.
Nel romanzo un fuggitivo decide di nascondersi in un’isola deserta, di cui ha sentito parlare come estremamente pericolosa e per questo evitata da tutti. Qui scopre delle costruzioni moderne che sembrano abbandonate ed una natura selvaggia che le circonda. Purtroppo, degli intrusi spesso ed improvvisamente si aggirano per gli edifici e gli spazi dell’isola e lo costringono a nascondersi, ad imboscarsi nei posti più irraggiungibili. Si tratta sempre delle stesse persone che frequentano l’isola e tra questi una donna di cui quasi si invaghisce.
Le fughe continue all’arrivo degli intrusi e l’autocostrizione a soggiornare negli acquitrini o nella boscaglia lo fanno ammalare. Una malattia che lo porta a riflettere su sé e su ciò che sta succedendo.
Si accorge della presenza di due lune, un miraggio, pensa, visto che non ha cambiato pianeta, si accorge che anche il sole ha un doppione.
Si rende conto che i frequentatori dell’isola ripetono spesso gli stessi gesti, e gli sembra anche questi di vederli in doppio. La stessa percezione che si ha specchiandosi, ancora di più quando in una sartoria ci si pone in mezzo a due o più specchi e ci si vede come guardandosi da tante parti.
Anche in fisioterapia si usano gli specchi, tanti hanno visto quello quadrettato che serve a valutare le problematiche posturali della schiena. Succede che si usi uno specchio per valutare da un altro punto di vista il paziente. È utile per vederne i compensi, le posture che attua sul lato opposto rispetto al quale per sicurezza noi siamo posizionati.
Lo specchio è fondamentale nella proposta della “mirror therapy” (MT) ed è proprio questa attività di riabilitazione che si avvicina all’esperienza proposta nel romanzo. La MT è stata inventata da Vilayanur Subramanian Ramachandran per il trattamento di pazienti post-amputazione che avevano dolore all’arto fantasma.
Ramachandran ha creato un’illusione visiva (e psicologica) come di due arti intatti mettendo l’arto danneggiato del paziente in una “mirror box”, con uno specchio rivolto verso l’arto sano del paziente.
Il paziente quindi guarda lo specchio, che copre l’arto lesionato, e ne vede rispecchiato l’arto buono, sembra che l’arto non sia quello lesionato, paralizzato o amputato, ed esegue movimenti “simmetrici allo specchio”, come potrebbe fare un direttore d’orchestra sinfonico, o come fa una persona quando batte le mani. L’obiettivo è che il paziente immagini di riprendere il controllo su un arto mancante. Poiché il soggetto vede l’immagine riflessa dell’arto buono in movimento, sembra che anche l’arto fantasma si muova. Attraverso l’uso di questo meccanismo di controllo visivo, diventa possibile per il paziente “governare” l’arto fantasma.
La MT oggi viene utilizzata oltre che nel trattamento del dolore dell’arto fantasma anche per affrontare altri tipi di dolore o disabilità unilaterale. Questo è un intervento che richiede competenze specifiche per addestrare il paziente all’esercizio in cui l’arto sano dovrà specchiarsi precisamente al continuo del moncone dell’arto amputato rispettando il punto di vista del paziente sullo specchio e rispettando anche la continuità dello sfondo.
Risulta chiaro che anche il posizionamento dello specchio o della mirror box deve essere molto preciso al fine della corretta proposta e declinazione dell’esercizio in cui si muove l’arto sano ma sembra che si muova l’arto mancante perché amputato o immobile perché paralizzato.
Un argomento che appassiona nel romanzo il protagonista fuggiasco è l’immortalità. Dichiara che bisogna perfezionare lo studio per la ricerca dell’immortalità. Ipotizza che sarebbe bene non pensare troppo al corpo, ma dedicarsi alla conservazione della coscienza.
Nel romanzo continuano a vivere persone che non ci sono, persone che vissero quella esperienza ma non più oggi. Si continua immortali senza il decadimento grazie agli specchi ed alle tecnologie che permettono di captare e trattenere, come la fotografia, le registrazioni audio ed il cinema.
Alla fine anche le mosche che abitano realmente l’isola sono confuse con quelle riflesse o proiettate per finire a diventare solo proiezioni dei propri pensieri.