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Noterelle riabilitative del padre del libraio: “Il ballo”

Noterelle riabilitative del padre del libraio: “Il ballo”

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di Filippo Cavallaro

Mi ha impressionato leggere di Jean-Martin Charcot come direttore, a Parigi, nell’inverno del 1885, dell’Hôpital de la Salpêtrière, e del suo collaboratore, il giovane, Joseph Jule François Félix Babinski. Quest’ultimo ha ottenuto in pochissimo tempo tutta la stima del professore, e, benché laureato da appena un anno, riscuote tutta la fiducia del cattedratico, che lo ha accolto come medico volontario.
Charcot studia l’isteria, che ha dimostrato doversi differenziare dall’epilessia, e tenta una cura attraverso l’ipnosi, proprio in questa tecnica si sta specializzando Babinski.
L’ospedale è lo scenario del romanzo di Victoria Mas per le edizioni e/o, che ha come titolo “Il ballo delle pazze”. Siamo in un tempo in cui le malattie nervose sono considerate una clinica della medicina internistica e non c’è ancora la distinzione tra neurologia e psichiatria come discipline.
I due medici non hanno ruolo preminente nel testo, anzi nessun maschio lo ha. Sono le donne le protagoniste: Eugenie e Geneviéve prime donne, tra loro complici; Louise e Thérèse comprimarie legate dalla sofferenza e dai soprusi subiti.
La Salpêtrière è la soluzione reclusiva per tutte quelle donne che disturbano l’ordine costituito, un manicomio per tutte quelle la cui sensibilità e reattività non corrisponde alle aspettative, una prigione per donne colpevoli di avere un’opinione.
Eugenie camminando pensa e si accorge di quanto il bustino la infastidiva terribilmente. Quell’indumento, se avesse dovuto far apparire le donne più desiderabili, certamente impediva loro di muoversi liberamente. Lei è di fretta per andare in una libreria ad acquistare un testo a cui è particolarmente interessata. La sua curiosità, le sue letture, la sua cultura, i suoi interessi, la sua consapevolezza la pone in una posizione che all’epoca non è accettabile ed il padre decide, per il buon nome della famiglia, che dovrà essere chiusa in manicomio.
In ospedale, verrà portata in una sala di visita, qui l’esperienza sarà di due individui che si trovano di fronte, non sono più su un piano di parità: uno valuta la sorte dell’altro, l’altro crede alla parola del primo. Uno determina la sua carriera, l’altro determina la sua vita.
Dal 2018 nel nostro paese con la legge 3 “Applicazione e diffusione della Medicina di Genere nel Servizio Sanitario Nazionale” si è puntata l’attenzione alle differenze biologiche tra i due sessi, nonché delle differenze più propriamente di genere.
La differenza è riconosciuta da Eugenie, se ne rende conto sulla sua pelle durante la visita alla Salpêtrière, dichiara che “il divario è tanto più pronunciato quando ad entrare in uno studio medico è una donna, che sottopone alla visita un corpo desiderato e allo stesso tempo incompreso da chi lo maneggia.”
Oggi sono molte le donne medico e sicuramente questa distanza associata alla promulgazione della legge 3/2018 con l’inserimento del “genere” in tutte le specialità mediche, nella sperimentazione clinica dei farmaci e nella definizione di percorsi diagnostico-terapeutici, nella ricerca, nella formazione e nella divulgazione a tutti gli operatori sanitari e ai cittadini. Anche presso l’Istituto Superiore della Sanità è stato costituito il Centro di riferimento per la medicina di genere, con un osservatorio su tutte le attività del Ministero della Salute e gli enti sottoposti alla sua vigilanza.
Nel romanzo Babinski confessa a Geneviéve che una seduta di ipnosi era durata più del solito, ed aveva indotto un attacco isterico più intenso, con un conseguente danno alle strutture cerebrali, che aveva provocato un’emiplegia del lato destro. Da scienziato considera il fatto con interesse, da studiare. Ammirevole il distacco da scienziato rispetto al preparato da esperimento, disumano ed inaccettabile se consideriamo la persona di cui si sta decidendo sulla sua salute.
Geneviéve si sente partecipe di attività di ricerca che potranno aiutare, in futuro, altri ammalati. Anni alla Salpetrière, però, le avevano insegnato che le voci fanno più danno dei fatti, che un’alienata guarita rimaneva un’alienata agli occhi degli altri. Che nessuna verità scientifica sarebbe stata in grado di riabilitare un nome infangato da quella malattia.
Ha imparato quali sono i segni clinici da rilevare e si accorge che Eugénie non è come le altre ricoverate. Decide di tenerla sottocchio e conferma che non c’è nulla di anormale nei suoi comportamenti, nel suo parlare, nel suo relazionarsi. Si convince di parlarne al direttore. Charcot distolto da una lettura, riflette su quanto riferitogli ed invita l’infermiera anziana a restare nei ranghi e non interessarsi delle diagnosi delle alienate.
Per dare spazio alla femminilità si organizzava il ballo in maschera al quale partecipavano, con interesse, molte autorità e personalità di Parigi. Un momento unico dove nella musica e nelle coreografie si era tutti uguali e confondibili. Talmente uguali da poter acquisire la libertà.