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di Filippo Cavallaro
Da diversi mesi, per commemorare il centenario della nascita di Stefano D’Arrigo (Alì 15 ottobre 1919 – Roma 2 maggio 1992), si tengono in libreria da mio figlio dei momenti di lettura commentata di brani dell’opera più importante dello scrittore. L’Horcynus orca, questo il titolo dell’opera maestra, il romanzo di D’Arrigo, è sicuramente impegnativo per le dimensioni e lo stile di scrittura, ma se ci si lascia prendere e si respira con il suo ritmo lento e ripetuto, lungo e profondo, affascina e ci fa conoscere pienamente lo Stretto di Messina e chi lo abita.
Il libro racconta la storia avventurosa di ‘Ndria Cambria che finita la guerra torna a casa, a Cariddi (Torre Faro). A dire il vero non tutte le letture organizzate si sono tenute in libreria, una in particolare, si è tenuta alle terme Marino ad Alì, città natale di Stefano D’Arrigo. In quella occasione si diede lettura e commento delle gesta di quattro personaggi disabili che nel romanzo vivono a contatto con i pellesquadra, i pescatori dello stretto, sono così stati ricordati Ferdinando Currò, Federico Scoma, Mimì Nastasi ed Armandino Raciti. Tutti a vario titolo eroi che malgrado la vita dura, ed il peso dei vincoli segnati sul loro corpo dalla malattia, svolgono un ‘attività utile ai fini del buon funzionamento della comunità sociale e produttiva a Capo Peloro.
Vogli qui, in questa occasione, indirizzarvi per parlare di altri due personaggi che si incontrano e vivificano la trama, due amputati: Boccadopa e lo scugnizzo napoletano.
Boccadopa è un marinaio che ha perso una gamba e si trova a fare la stessa strada di ‘Ndria per tornare in Sicilia, a casa. Ha bisogno della stampella che con il ticchettio rimbomba e lo precede nel romanzo, ma ha bisogno anche di una assistenza continua, un accompagnatore, tale Portempedocle, che lo sostiene, per cui il loro camminare è “trapestando con le tre gambe e la stampella”.
Lo scugnizzo che per riconoscerlo tra gli altri bisogna far riferimento al fischio che lancia all’amico ed alla risata sdentata, poi, solo dopo questi viene data l’indicazione della stampella. È più identificativo che fischi e sorrida durante la battaglia che non l’uso della stampella, ausilio che di fatto abbandona per assaltare il Tigre tedesco saltellando rapidamente su una gamba e lanciando precisa la bomba a mano come fosse una “pietra bambina”.
Due soggetti con la stessa menomazione, amputati, con due stili di vita opposti, uno bisognoso di continua assistenza, l’altro assolutamente autonomo dove la menomazione è sicuramente un vincolo, ma non un limite tale da impedire il salto, la corsa, il tuffo. Uno per il quale lo stesso autore dichiara che fa “us’abuso di stampella” e tiene asservito Portempedocle, l’altro insieme agli scugnizzi che “svolazzavano come passeri” attorno al carroarmato “scarafaggione impazzito”.