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Parole che indicano una difficoltà di relazione

Parole che indicano una difficoltà di relazione

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di Salvatore Settineri*

 

La mancata assunzione della terapia da parte del paziente è un tema sempre attuale, anche in passato è stato motivo di discussione e, se certe organizzazioni (ad esempio il controllo del trattamento del diabete) sono alla portata di tutti, altre osservazioni non tengono conto dell’oggettività del problema, in quanto la mancata osservazione del trattamento terapeutico è prevalentemente una forma di rapporto soggettivo del paziente con l’oggetto, qualsiasi terapia che includa anche la modalità che ha il paziente di seguire la prescrizione.

La problematica è stata riassunta storicamente in quattroparole, che però hanno significati e implicazioni diverse: compliance, adherence, concordance, empowerment

Compliance, che in italiano sta nel senso dell’acquisizione di una terapia, molte volte è legata alla quantità delle dosi e ci sono studi che dimostrano come la riduzione della quantità terapeutica, ad esempio di un farmaco, migliori questa acquisizione; altri studi puntano sul ruolo della tematica fiduciaria con la quale il paziente si presenta al medico. Qualche autore si spinge a trovare addirittura una correlazione tra dosi e fiducia, che ruotano in termini di assertività alla cura (ad esempio cibi sani, modesta attività fisica, capacità di risolvere i problemi, ecc.).

Adherence è un termine simile al precedente, in cui la sottolineatura si sposta alla consonanza tra medico e paziente in termini metaforici di lunghezza d’onda. Orbene, se la consonanza in musica esprime un intervallo perfetto, in termini psicologici la probabilità maggiore è quella della dissonanza, quest’ultima legata anche alla ripetitività del trattamento.

La tecnologia ha messo a punto degli strumenti, come ad esempio delle app, che consentono di ricordare la somministrazione, ma l’uso di questi strumenti può risultare ostico in certe fasce d’età; può generare dei fastidi che nascono dal fatto che sistemi controllanti, specie se esercitati da uno strumento acritico, generano, inconsciamente, dei vissuti come privazione della libertà personale.

Un terzo termine, concordance, implica il superamento del concetto di adherence, in quanto chiama aspetti più profondi dell’esistenza e, in particolare, l’attribuzione del senso.

Un esauriente articolo è quello della collega Paola Manfredi, reperibile al sito http://www.medicjournalcampus.it/fileadmin/MEDICS/archivio/vol_1-2_2016/numero_2/09_Manfredi.pdf (più velocemente tramite google digitando concordance and Manfredi). La riflessione della Manfredi parte dalla lontana formazione medica, in cui allo studente di medicina vengono forniti pochi strumenti, se consideriamo che la psicologia clinica in sei anni viene offerta con appena due crediti. Da qui la sproporizione formativa tra lo psicologo e il medico, il quale spesso e volentieri risolve la questione delegandola al primo.

Più attuale è la concezione dell’empowerment interna, come consapevolezza e controllo delle proprie scelte.

Si tratta di un processo di potenziamento finalizzato a prendere, da parte del paziente, delle scelte finalizzate all’ implementazione dello stato di salute.

Tutte queste ricette, programmi di addestramento razionale ecc. possono creare in alcune patologie croniche delle sviste in altrettanti e importanti settori della personalità, intesa come Sé totale, che non sempre è permeabile in tutti i suoi aspetti. I medici che dovrebbero essere i testimonial della salute (cioè la prova vivente della salute) soffrono spesso di quelle malattie che si sono impegnati a combattere sul versante dello stile di vita (ad es. fumo, alcol ecc.); se poi si tratta di Professori Universitari, hanno addirittura bacchettato i propri studenti per la non adesione ai programmi preventivi e, come tutti gli altri, muoiono lo stesso.

Quanto proposto, che sembra aver tanto successo soprattutto nelle personalità razionali, dimentica la costituzione delle personalità, che è per sua natura polare: ciò vuol dire che in noi c’è in nuce un proprio opposto (se siamo razionali c’è in noi una parte irrazionale e viceversa che non può essere né rifiutata né negata).

Tranquilli, nessuno può diventare come il suo opposto. Ma proprio perché l’opposto è speculare, deve essere interpretato, curato, e persino amato. Se non si tiene conto di questo falliscono matrimoni, il rapporto coi propri figli e, perché no, il rapporto anche coi propri pazienti. Una bella trattazione può essere approfondita nella lettura di “Tipi psicologici” di Carl Gustav Jung, ed è per questo che io propongo ai miei studenti di Medicna del V anno quanto approfondito, che è in accordo con la sentenza scritta nel Tempio delfico: conosci te stesso.

Concludendo, le parole presentate, più che essere uno stile adottato più o meno consapevolmente, sono delle modalità comportamentali che possono anche cambiare nel corso della vita e delle circostanze: conoscerle significa ridurre la possibilità di errore.

 

*Professore Associato di Psicologia
(Catteda di Psicologia Clinica – Corso di Laurea in Medicina e Chir. Università di Messina)