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a cura di daniele passaro
“I più poveri tra i poveri”
Questo mio viaggio in Nepal era previsto – come viaggio di esplorazione per futuri workshop fotografici insieme ai miei amici fotografi di Nikon – per Febbraio di un certo anno ma, ahimè, per un banale quanto sfortunato episodio, quel viaggio non l’ho potuto fare.
Solo qualche mese dopo, quando il workshop era diventato realtà, il sogno di vedere il Nepal si è realizzato.
Ho girato un po’ di mondo lo confesso, e fino a questo momento i tre paesi più poveri che ho visto sono stati la Tanzania, lo Sri Lanka ed il Nepal.
La povertà del Nepal – insieme a quella dello Sri Lanka – mi ha colpito molto.
Il paese è bellissimo, colorato e ricco di storia, segnato da un recente e devastante terremoto e dalla vicinanza di due superpotenze (India e Cina) che ne sfruttano, a vario titolo, le poche risorse e – tra queste – l’acqua proveniente dai ghiacciai della catena Himalayana.
Abbiamo girato a lungo tra la gente e sempre, in ogni dove, abbiamo trovato che tutto era permeato di religione: monumenti, luoghi, immagini, piccoli e grandi altari, disegni o realizzazioni grafiche di ogni tipo.
Tutto dedicato alle divinità, tutto in funzione dei vari dei – e ce ne sono migliaia – che popolano l’immaginario religioso di questo straordinario e dolcissimo popolo.
I tre più importanti, e conosciuti, sono Brahma il creatore, Vishnu il conservatore della vita e del mondo e Shiva, considerato come potenza trasformatrice.
Ma come dimenticare Ganesh con la sua testa da elefante? Ed a questi si aggiungono centinaia di altri dei.
In ogni piazza o strada si incontrano simboli o altari dedicati a vari dei, tutti coloratissimi e tutti frequentati da centinaia di persone che offrono quel poco che hanno.
In genere corone di fiori, o cibo, frutta per lo più, e tutto questo nonostante – davvero – molti sopravvivano sotto la soglia di povertà.
In una polverosa ed affollatissima piazza in terra battuta – in particolare – sono stato attratto da un grande quadro, coloratissimo, circondato e protetto da ringhiere, che raffigurava due o tre dei davvero orribili a vedersi, al cui cospetto una folla davvero enorme si alternava genuflettendosi e pregando.
Il tutto accadeva in una profusione (ed indicibile confusione) di suoni, canti ritmati e fumo proveniente dai mille e più ceri ed incensi che in continuazione venivano accesi dalla gente.
E che gente…
Tutti poveri, tutti chiaramente affamati, avvezzi al rumore, alla sporcizia del luogo e di loro stessi, alle loro vesti lacere ed al cibo venduto per strada da improvvisati mercanti, poveri forse più dei loro clienti.
In questa indicibile confusione davvero simile ad un girone di inferno dantesco, mi hanno subito colpito alcune donne e, tra esse una, strabica, che stringeva un bambino al petto.
Erano – a differenza delle altre centinaia di persone – immobili, sedute su uno spigolo di marciapiede e, particolare che mi ha colpito, non pregavano, non accendevano ceri o lumi, non cantavano, non si muovevano.
Non avevano niente in mano da offrire ai loro misteriosi e terribili dei.
Loro, più povere, chiedevano solo l’elemosina agli altri poveri, ma in silenzio, con dignità, semplicemente stando sedute in terra.
Con difficoltà, abbassandomi tra la folla e cercando un varco di “luce” tra le centinaia di gambe ho scattato questa foto che – insieme a poche altre – porto nel cuore.
Simbolo di una povertà vera, non gridata, non ostentata, ma dignitosa e – purtroppo – irrisolvibile.
Ecco i dati di scatto (dati c.d. exif) per chi fosse interessato
Leica Q – Summilux 28 mm F 1.7 – 1/160 sec. f/7.1