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Radioterapia nel tumore del seno

Radioterapia nel tumore del seno

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Studio Tetris indaga nuovo score personalizzato del rischio per evitare tossicità e eventi avversi anche nel follow-up

La radioterapia è una metodica di cura oncologica che sfrutta la capacità di radiazioni molto energetiche, in genere raggi X, di indurre la necrosi delle cellule tumorali. Attualmente è molto utilizzata: si calcola che circa il 60% dei pazienti oncologici ne usufruisca durante il proprio percorso terapeutico, spesso in aggiunta ad altri approcci quali la chirurgia e la chemioterapia. In alcuni casi viene invece effettuata in alternativa alla chirurgia tradizionale, per esempio nel caso di tumori con una posizione difficile da raggiungere.

Proprio per la sua efficacia nel distruggere le cellule, anche quelle sane, la radioterapia deve essere utilizzata seguendo specifiche regole di radioprotezione, che riguardano la distribuzione e l’erogazione della dose di radiazione in modo ottimizzato e personalizzato, nonché la quantificazione dei rischi di effetti collaterali gravi a lungo termine per il tipo e la quantità di radiazione erogata.

“Nel caso del tumore della mammella, la radioterapia viene utilizzata come terapia adiuvante alla chirurgia, trattando tutta la mammella colpita dal tumore al fine di limitare le recidive” – dichiara Maria Carmen De Santis, oncologa radioterapista presso l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e Clinical Coordinator del progetto TETRIS – “La radioterapia è dosata e conformata con apposite tecniche per limitare i danni ai tessuti sani, anche se inevitabilmente una certa quota di dose viene rilasciata anche negli organi circostanti: al cuore soprattutto per la mammella sinistra, alla mammella controlaterale e infine al polmone e all’esofago, con il rischio di effetti collaterali severi o insorgenza di tumori radio-indotti. Si tratta di aspetti molto importanti, che però finora non hanno ricevuto la dovuta attenzione, anche in considerazione dell’evoluzione che il trattamento radioterapico ha avuto non solo in ambito tecnologico.”

Con le dosi attuali di radioterapia, la probabilità di tossicità radio-indotta è molto bassa, inferiore all’1%. Tuttavia, il gran numero di pazienti coinvolte e l’aumentato livello di sopravvivenza sono due fattori che concorrono a rendere non trascurabile il problema della radioprotezione. Inoltre, l’1% è un valore medio, il che significa che alcuni soggetti avranno rischio più elevato e altri più limitato. Infine, la radioprotezione attualmente termina nel momento in cui la paziente ha completato il suo ciclo di radioterapia e non si estende oltre.

Il progetto TETRIS

In questo quadro complessivo, rispondendo anche alle sollecitazioni di Horizon Europe, il Programma quadro dell’Unione Europea per la ricerca e l’innovazione, e dell’EURATOM, l’Agenzia Europea per l’Energia Atomica, è nato il progetto TETRIS. Lo scopo è quello di introdurre strumenti per una pratica radioterapica innovativa, allargando il concetto di radioprotezione a tutto l’arco di vita dei pazienti oncologici trattati.

“Il primo obiettivo concreto del progetto TETRIS è di approfondire la stratificazione del rischio associato alla radioterapia e di comunicare tale rischio a chi si occuperà della paziente nel post terapia, in modo da poter personalizzare il follow-up e seguire più da vicino, per esempio, chi ha un maggior rischio cardiopolmonare o individuare un secondo tumore quando ancora in una fase iniziale, prima che ci sia una manifestazione clinica severa” – chiarisce Tiziana Rancati, ricercatore fisico presso l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e Principal Investigator del progetto TETRIS – “Il primo passo sarà dunque quello di definire un punteggio di rischio (score) grezzo, calcolato sulla base di dati disponibili per tutte le pazienti, come la tipologia di trattamento ricevuto (sia per la chemio che per la radioterapia), le relative dosi, le TAC effettuate, nonché sulla base di fattori ora non considerati ma valutabili con le informazioni che abbiamo, come per esempio numero e grandezza di eventuali calcificazioni presenti a livello cardiaco.”