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Negli ultimi cinque anni oltre la metà delle imprese italiane ha investito in alcuni dei fattori abilitanti necessari per applicare le innovazioni ai processi produttivi, quali una connessione internet in grado di assorbire grandi volumi di dati scambiati in tempo reale, insieme a una infrastruttura anche basata sul cloud e al conseguente sforzo verso una maggiore sicurezza informatica. I settori in cui è maggiore la presenza di imprese che hanno effettuato investimenti sono anche quelli più tecnologicamente avanzati: automotive, energia, biotech e servizi finanziari (tab. 30).
La produzione industriale diventa sempre più automatizzata: in Italia il numero di nuovi robot installati nel 2018 ha sfiorato le 10.000 unità, meno della metà di quelli installati in Germania, ma quasi il doppio rispetto agli altri grandi Paesi europei, come Francia e Spagna. Il settore in cui è più sviluppato il ricorso a robot sempre più avanzati e integrati è sicuramente quello dell’automotive (fig. 26).
La presenza diffusa di robot negli impianti produttivi italiani è confermata dal rapporto robot/addetti nell’industria manifatturiera. Nel nostro Paese sono stati installati 200 robot ogni 10.000 addetti nell’industria, il doppio rispetto alla media mondiale. Ma siamo in ritardo rispetto ai Paesi protagonisti della produzione industriale, in particolare di quella di autoveicoli, come Germania (338) e Giappone (327), e rispetto ad economie con una manifattura altamente tecnologica, come Singapore (831) e la Corea del Sud (774). L’importanza per l’Italia di questo settore è dimostrata dai dati sul commercio con l’estero delle nostre aziende produttrici. La quota italiana sulle esportazioni mondiali di macchinari e apparecchiature meccaniche è pari al 6,1%, per un controvalore di 81,7 miliardi di euro e un saldo attivo pari a circa 50,6 miliardi di euro.
IL RECUPERO DI ASPETTATIVE NELL’EUROPA
Nelle elezioni europee dello scorso mese di maggio si è registrato un aumento della percentuale di votanti nei Paesi dell’Unione europea. L’Italia è andata in controtendenza: i votanti, pur attestandosi su una percentuale del 54,5%, superiore alla media europea (50,6%), sono diminuiti rispetto al 2014. Ma cosa pensano veramente gli italiani in merito? Il nostro futuro deve essere con o senza l’Unione europea? La maggior parte della popolazione italiana si dichiara contraria a fare un passo indietro su tre questioni che sono state poste in questi anni e che avrebbero un impatto decisivo sulla nostra presenza in Europa (tab. 32):
— il 61,3% degli italiani dice “no” al ritorno alla lira, che segnerebbe la fine della moneta unica (i favorevoli sono il 23,9%);
— il 61,7% è convinto che non si debba uscire dall’Unione europea tornando alla piena sovranità nazionale (mentre è favorevole il 25%);
— meno netta è la posizione riguardo alla riattivazione delle dogane alle frontiere interne alla Ue, con il 49,1% della popolazione che si dice contraria a creare ostacoli alla libera circolazione delle merci e delle persone, mentre il 32,2% sarebbe d’accordo.
Oggi l’Italia gioca in Europa il proprio destino economico, esportando nei Paesi appartenenti alla Ue quasi 91 milioni di tonnellate di merci l’anno (il 60,9% dei quantitativi complessivamente venduti all’estero), per un controvalore di oltre 260 miliardi di euro, che rappresentano il 56,3% del valore delle merci esportate complessivamente (tab. 33).
Accanto all’Europa delle imprese c’è l’Europa della gente. Gli italiani che risiedono negli altri 27 Paesi della Ue sono 2.107.359 (mentre i cittadini Ue che vivono in Italia sono 1.583.169): sono aumentati del 12,2% negli ultimi tre anni e rappresentano il 41,2% degli oltre 5 milioni di italiani che vivono all’estero. Circa il 90% degli italiani che hanno scelto l’Europa vive in soli 5 Paesi: Germania, Francia, Regno Unito, Belgio e Spagna, e ovunque sono in aumento (soprattutto nel Regno Unito e in Spagna). Ma è nella possibilità di viaggiare e di studiare altrove che i nostri connazionali esercitano al meglio la capacità di sfruttare lo spazio comune: nel 2018 gli arrivi di viaggiatori italiani nei Paesi dell’Ue sono stati oltre 38 milioni, in crescita dell’8,7% nell’ultimo triennio, per un totale di quasi 158 milioni di giorni di permanenza (+7,5% negli ultimi tre anni) (tab. 34).
IL NECESSARIO RITORNO DELLE ÉLITE PER GESTIRE LA STAGNAZIONE
Nel breve periodo nessuno convincerà gli italiani che le élite possano avere interessi convergenti con quelli degli aggregati sociali che rappresentano. Né che affidarsi alle scelte all’establishment possa essere un cosa buona e utile. Ma forse prima o poi si renderanno conto che delle élite non si può fare a meno. Non si potrà aggirare il problema di disporre di una “classe dirigente” in grado di tenere insieme una collettività individuando gli sforzi comuni da compiere e la direzione verso cui muoversi.
A proposito della messa in discussione dell’operato delle élite scientifico-professionali, è certamente vero che abbiamo vissuto una stagione complessa dove si è affermata la logica dell’“uno vale uno”. Tuttavia, diversi dati di indagine raccolti di recente ci inducono a ritenere che il fenomeno si sia arrestato e che cominci a regredire. La larga maggioranza degli italiani, ad esempio, tende oggi a fidarsi dei medici (solo il 17,8% non ha fiducia nei medici di base e la percentuale scende al 9,1% nel caso degli specialisti) (fig. 30). E in epoca di fake news e di informazione prodotta e veicolata in maniera molto aleatoria dai social media, non va oltre il 20,7% del totale la quota di italiani che dissentono rispetto al fatto che solo i giornalisti professionisti dispongono delle doti indispensabili per una corretta informazione (capacità di raccontare, completezza, pensiero critico, serenità di giudizio) (fig. 31).
Le scelte che “sanno di futuro” rimangono ancora oggi al centro dell’immaginario collettivo. E un politico che pensa alle nuove generazioni, piuttosto che esclusivamente al suo bacino di consenso elettorale, ha ancora chance di raccogliere il giusto consenso (fig. 32).