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“La promessa del legionario” è un testo piacevole a leggersi e stimola alla curiositas, alla conoscenza delle nostre tradizioni, non solo storiche, ma private, di un contesto facile a declinare nell’oblio.
La vicenda personale di un cittadino luciese, Salvatore Alibrando, di origini contadine, si snoda in un contesto storico-sociale-ambientale complesso, analizzato con scrupolo storicistico e con acuto interesse culturale.
La prima guerra mondiale volge già a termine, per cui il protagonista non partecipa direttamente alle battaglie, ma vive “il senso di orgoglio nazionale, ritrovato dopo la disfatta di Caporetto, che portò alla gloria di Vittorio Veneto” (pag.33).
E’ un soldato esemplare e nel foglio di congedo illimitato si legge “durante la sua permanenza alle armi ha tenuto buona condotta e ha servito con fedeltà e onore” (pag.35).
Durante il fascismo la vita politica luciese è caratterizzata da conflittualità tra l’avvocato Sindona e i Fulci, i quali ebbero una battuta d’arresto con il terremoto del 1908, in cui perse la vita Nicolò Fulci, eletto deputato nel Collegio di Milazzo.
Sul comportamento del Sindona da una relazione viene sottolineata “la volubilità e incostanza per le ammissioni ed estrazioni del fascio locale” (pag.46).
La lotta politica luciese è aspra e su Sindona prevalgono giudizi negativi. Un ispettore dichiara “è parso che la sua azione fosse ispirata unicamente alla brama di sfogare la sua sete di vendetta” (pag. 47-48).
In una relazione ispettiva emerge un giudizio negativo sul Podestà Sindona che” per le sue origini e per la sua attività professionale, per il suo carattere duro…. si è man mano logorato e isolando nel Comune” (pag. 49). Durante il fascio” la situazione amministrativa è al collasso” (pag. 53).“in seguito a lotte e beghe politiche si è lasciata una eredità gravissima, poiché si è dotato il Comune di debiti senza provvedere all’impianto di servizi pubblici” (pag. 54).
Il Fascismo ha difficoltà ad attecchire in Sicilia, perché viene considerato “come prodotto imposto dall’ Italia più ricca e benestante……estraneo ai bisogni e alle esigenze del popolo siciliano” (pag. 60).
Nell’impresa africana, iniziata nel 1935 e conclusa vittoriosamente nel 1936 con la proclamazione dell’Impero, molti giovani siciliani partono per l’Africa per un futuro migliore. Con la conquista dell’Etiopia la Sicilia sarebbe stata “isola imperiale”, “ponte tra l’Impero nascente e l’Italia” (pag.61).
Salvatore Alibrando non vedrà mai le terre dell’Impero. Egli conduce una vita faticosa, dedita al lavoro dei campi, avendo due fondi, uno in affitto e l’altro in mezzadria. Coltiva fave, ceci, fagioli, ortaggi, alleva animali da cortile, alcune vacche e suini. Abita in paese in una casa modesta, in cui al piano terra tiene l’asino, unico mezzo di trasporto. E’ uno dei “nasetari” schierati con il podestà Sindona, che sostiene il riscatto dei fondi in affitto, mentre i proprietari sono schierati con i Fulci.
Molti giovani partono come volontari in Africa, sollecitati anche dalla propaganda di un buon ingaggio e di un contributo sostanziale per il loro lavoro.
Intanto dal 1936 in Spagna si combatte su due fronti contrapposti, repubblicano e nazional-franchista, che chiede il sostegno di Mussolini.
Avviene che soldati, i quali fanno richiesta come volontari in Africa, si trovano assegnati alla Spagna, come capita ad Alibrando, per cui “la convinzione ideologica” dei volontari italiani è molto modesta.
I detti popolari conservano lo stato emotivo diffuso, fra cui “megghiu morti onurata ca vita scillirata” (pag. 69). Il senso dell’onore, della dignità, del rispetto, della stima è patrimonio anche della classe sociale povera. Nel 1936 la metà della popolazione luciese è indigente e la vita è una strenua e costante lotta per la sopravvivenza, essendo le attività principali l’agricoltura e l’allevamento del bestiame, con produzione di formaggio. Le donne si dedicano alla tessitura. Un peso determinante ha la produzione del carbone, esportato anche nelle zone limitrofe. Diffuse le attività artigianali, che si trasmettono da padre in figlio.
Il contadino non riesce a mettere da parte il denaro per una casa, per cui partire come volontario avrebbe consentito la realizzazione di primarie aspirazioni, guadagnando soldi a servizio del governo.
Il protagonista si ritrova legionario per caso, avendo fatto domanda di arruolamento come volontario per l’AOI (Africa Orientale Italiana), mentre successivamente si trova arruolato d’ufficio come volontario dell’OMS (Operazioni Militari Spagna).
“Egli con tanti volontari sbarcò a Cadice; era un legionario in terra di Spagna, un combattente per la fede cattolica e per la difesa della Spagna dal pericolo comunista, così almeno secondo la propaganda del regime fascista” (pag. 81).
Egli opera per ben 18 mesi e certamente non conosce il significato del termine legionario, perché un contadino difficilmente sa qualcosa di storia romana, a cui il termine si rifà, o comprende la politica estera fascista.
Si racconta un episodio particolare, quando il protagonista non rientra a casa come al solito, dove è atteso dai familiari, in preda ad angoscia. Spiegherà il vero motivo solo alla moglie. Quando stava per rientrare in paese, sente una voce dentro di sé, “come se qualcuno lo spingesse a recarsi verso una grande chiesa che sorgeva in quel paese “(Montalbano) (pag.86).
Dopo aver percorso molti chilometri a piedi, giunge al Santuario, dove assiste alle funzioni del mattino, restando colpito dalla devozione degli abitanti verso la Madonna della Provvidenza, protettrice della città, festeggiata il 24 agosto.
Diffuso è l’impegno storicistico, condotto con scrupolosa documentazione, specifico nel capitolo della ricostruzione della situazione storico- sociale della Spagna fino allo scoppio della guerra civile, quando “la Repubblica era un calderone di incompatibilità e di reciproci sospetti in cui convivevano centralisti, comunisti, regionalisti e liberali. Le forze nazionaliste, invece, erano più unite perché combinavano tre fattori di aggregazione: erano di destra, centraliste e autoritarie nello stesso tempo” (pag.100).
In questo calderone viene catapultato il protagonista Salvatore e molti altri volontari, a cui solo alla partenza del piroscafo Sardegna, attraverso gli altoparlanti viene comunicato che la destinazione non è l’Africa, ma la Spagna. “La bugia era svelata. Niente terra d’Abissinia da bonificare né attrezzi da lavoro per dissodare e piantare alberi da frutto, al loro posto erano stati consegnati pesanti moschetti e vecchi elmetti” (pag.107).
L’interesse e lo scrupolo storicistico emergono anche nella narrazione degli scontri a Guadalajara, dove per Alibrando avviene il battesimo di fuoco, e la carneficina si conclude senza vincitori e vinti. Tuttavia i fanti della Littorio si comportano con onore a differenza di altre divisioni italiane, che si bloccano alle prime difficoltà. Molti sono i morti, alla cui sepoltura partecipa anche Salvatore, il quale, da buon cristiano, ritiene che anche i nemici meritano di essere seppelliti.
L’altro scontro è quello del Passo del Escudo, che, nonostante le molte difficoltà, i legionari riescono a conquistare. Durante le operazioni in questo scontro Alibrando rimane ferito alla testa, ma riesce a rincuorare i commilitoni, invitandoli a pregare la Madonna.
Comprende di essere un miracolato e pronuncia il voto che segnerà la sua esistenza: al ritorno in paese avrebbe costruito “una piccola chiesa da dedicare alla Madonna della Provvidenza, quella venerata in quel Santuario di Montalbano, dove si era recato prima della partenza (pag.117).
“Era una guerra stracciona con combattenti malvestiti e spesso affamati dall’una e dall’altra parte (pag.117).
Gli autori non si limitano alla narrazione storica, ma sottolineano lo stato d’animo del protagonista.
“La sera più che pensare al riposo, era il momento della melanconia e del ricordo struggente dei familiari(pag.118).
“unica nota positiva era quella di pensare che a casa, grazie all’arruolamento, le famiglie se la passavano meglio di prima” (pag.120).
Il contadino Salvatore tra tante atrocità è sostenuto da una fede salda in Dio, da una devozione sincera e profonda verso la Madonna, “che hanno rappresentato lo scudo contro le avversità e la spada contro la miscredenza” (pag. 125).
Certamente egli ha rivolto la sua supplica alla Virgen del Pilar, testimoniata da una immaginetta, che i familiari conservano” come un’eredità, una reliquia preziosa, un lascito morale imperituro” (pag.124).
Salvatore rientra in Italia nell’ottobre del 1938.
Da Cadice giunge a Napoli e, prima della partenza, a tutti i soldati viene corrisposto il premio di fine di ferma volontaria con il foglio di viaggio e l’autorizzazione a tenere lo zaino.
La scena del rientro a casa rimane impressa nella figlia Maria, spesso descritta dalla madre. Egli appare nel vico S. Antonio, si ferma sull’uscio di casa, riabbraccia moglie e figli e i vicini vengono a salutarlo.
Riprende la vita di contadino e in due giorni concretizza il suo cammino di ringraziamento, recandosi al Santuario di Montalbano.
Quando non lavora, visita le numerose chiese, partecipando con devozione profonda alle funzioni, assume un aspetto ascetico, al punto che è soprannominato “u santaru”.
Ha sempre in testa un chiodo fisso: la costruzione della chiesetta, di dimensioni uguali alla sua casa. Non ha i mezzi, ma non si scoraggia.
Grazie all’avvocato Burrascano ottiene l’area di circa duemila metri quadrati nel piano di San Nicolò, dove nella primavera de 1947 inizia il lavoro di spianamento del terrapieno, su cui costruire la chiesetta.
I primi anni sono i più duri, durante i quali lavora con assiduità. La notte riposa in un pagliericcio nella grotta di San Nicola, dove si respira un’aria santa, come aveva sentito narrare, quando era ragazzo.
Durate l’inverno è impossibile restare lì a causa del freddo.
Pietra dopo pietra con un impasto di sabbia e calce costruisce un casotto, dove di giorno si cucina e la notte si dorme. D’estate alcuni vanno a lavorare in cambio del vitto. Non mancano pane, pasta, legumi, ortaggi, formaggi.
La chiesetta è costruita dagli inizi degli anni Quaranta agli inizi degli anni Sessanta e trascorrono circa 26 anni dal voto fatto dopo il ferimento in battaglia a Puerto del Escudo.
Agli inizi degli anni Sessanta padre Insana, Rettore del Seminario, comincia a frequentare la contrada di San Nicola, portando i ragazzi della colonia estiva e organizzando passeggiate domenicali per le famiglie.
Il protagonista è un exemplum di una persona semplice e di una devozione viva e fervida, dimostrando che anche gli umili possono essere eroi e occupare un posto nella Storia, secondo la concezione manzoniana, concretizzata nei Promessi Sposi.
E’ un’opera a quattro mani, scritta da due “teste pensanti”, ma non emergono dualismo, disorganicità, anzi risulta abbastanza compatta, uniforme nella struttura e nel linguaggio.
Chi può e deve leggere quest’opera e per quale motivo?
Tutti sono potenziali lettori, dall’adolescente all’anziano, perché è interessante l’argomento: le vicende personali di un contadino luciese, inserite in un contesto politico-sociale-ambientale, locale, nazionale, europeo (Spagna).
Personaggio-protagonista inconsapevole, in quanto le sue scelte sono determinate da necessità economica, per migliorare la condizione di vita sua e dei suoi familiari e dalla devozione religiosa, che lo guida e sostiene nella realizzazione della sua promessa; perché piacevole, scorrevole, accessibile, comprensibile è il linguaggio, ben curato, puntuale, senza orpelli, arricchito e vivificato dalla presenza di espressioni, detti, proverbi siciliani, recuperati dalla tradizione orale e, affidati alla scrittura, sono sottratti all’oblio.
Molteplici sono i motivi per leggere questo testo, ma in particolare la “curiositas cognoscendi”, la curiosità di conoscere: che cosa?
Le radici, le tradizioni, i costumi, la storia del passato, per comprendere, valutare il presente e programmare, soprattutto per le giovani generazioni, un futuro solido e produttivo.
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