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Siamo un Paese in grande difficoltà, come la maggior parte del mondo in questo momento. L’economia ferma, anzi in gravissima recessione; intere categorie deboli impossibilitate a produrre reddito, vicine ormai alla soglia di estrema povertà; migliaia di morti, senza nemmeno la possibilità di sperimentare la tenerezza straziante di un ultimo saluto e di un’ultima carezza dei propri cari; tanti operatori infettati, molti morti nell’esercizio della loro professione. E’ viva per tutti la percezione di un inferno materiale, emotivo, uno stato di ansia e di malessere collettivo, avvolto nell’incertezza del domani, con la sensazione che niente sarà più come ieri, in nessuna parte del mondo.
Accanto alla nebulosità di questi sentimenti negativi, tanta gente con la forza di combattere, la voglia di esprimere solidarietà, gli sforzi di chi deve essere in prima linea, la tenuta di un sistema sanitario che ci rende orgogliosi di essere italiani. Una tragedia epocale di questo genere dovrebbe costringerci, necessariamente, ad utilizzare parametri diversi.
Proviamo a vedere quali siano le poste in gioco per il nostro SSN, quali le possibili soluzioni, il tutto avendo la lungimiranza di capire quello che accadrà domani.
Innanzi tutto, è davvero doloroso, in momento così drammatico, che si operi per la divisione di chi si trova nella stessa trincea. La sanità senza medici, infermieri, tecnici e tutte le altre figure professionali non esiste. Ma non esiste nemmeno senza direzioni generali, sanitarie, amministrative, uffici del personale, uffici acquisti, uffici tecnici, servizi di prevenzione e protezione, tutti impegnati in una emergenza senza fine, con un denominatore comune: l’aver dovuto agire in fretta, senza alcun preavviso e possibilità di prepararsi al meglio, con un mercato mondiale impreparato a richieste di generi, non usuali per quantità, provenienti da tutto il mondo. Sicuramente sbagli sono stati fatti, da tutti gli attori in gioco, sanitari e non, ma le modalità con le quali l’emergenza è piovuta su tutti noi e la straordinaria e generosa capacità di reazione del mondo sanitario ci spingono, oggi, a guardare oltre.
E guardare oltre vuol dire salvare dal default e da una spaccatura certa il SSN. Default sicuro, se non si crea uno scudo per le aziende sanitarie, oltre che per i professionisti, per correttamente perimetrare la responsabilità professionale sanitaria in corrispondenza del repentino mutamento delle “ordinarie” coordinate di sistema imprevedibilmente ed eccezionalmente rivoluzionate. Spaccatura certa, se non si crea uno scudo per il complesso delle responsabilità penali, amministrative e di rivalsa lungo la filiera gestionale che presidia il sistema della sicurezza sul lavoro in ambito sanitario.
Vediamo ambedue gli aspetti.
1)Moratoria sulla responsabilità professionale sanitaria.
Senza una moratoria ci saranno conflitti e risarcimenti senza fine. E’ incomprensibile, da qualunque prospettiva si guardi, una moratoria limitata ai soli operatori sanitari. La moratoria deve riguardare anche le aziende. I soldi per i risarcimenti sono i soldi destinati alle cure e il SSN non reggerebbe l’impatto di un conflitto che si potrebbe aprire per migliaia di morti, sia avvenute in ambiente ospedaliero che esterno, riguardante anche i malati in carico alle aziende sanitarie e monitorati a domicilio.
Si invocherebbero ritardi nei tamponi, ritardi nei soccorsi, infezioni nosocomiali, cattive cure, a fronte di una pandemia che ha fatto saltare ovunque qualsiasi ordinario parametro organizzativo e di cura. Opporsi alla moratoria per le aziende vuol dire distruggere, in prospettiva, la sostenibilità del servizio sanitario nazionale. E’ necessaria una norma volta sia a proteggere l’operatore sanitario sia – per la complessiva tenuta del sistema sanitario – la stessa struttura di appartenenza nei confronti delle richieste risarcitorie da parte di “terzi” nonché – e questo soprattutto con riguardo al professionista – da istanze penali. E’ necessaria, pertanto, una esimente, che, facendo riferimento all’articolo 7 della Legge Gelli, ridisegni profondamente le coordinate della “colpa grave” in congrua relazione con lo stato di emergenza, al fine di ridimensionare trasversalmente il perimetro della “responsabilità risarcitoria verso terzi” a carico della struttura e a carico degli stessi professionisti eventualmente chiamati in via diretta da terzi o in rivalsa in caso di eventuale condanna della suddetta struttura di appartenenza.
Deve essere chiaro, peraltro, che questa eventuale moratoria delle aziende sulla responsabilità professionale sanitaria riguarda esclusivamente la Responsabilità Civile verso Terzi e non certamente la Responsabilità Civile verso gli Operatori della struttura
2) Moratoria sulle responsabilità della filiera gestionale in tema di misure di sicurezza Questa moratoria, diversa da quella descritta al punto che precede, coinvolge la responsabilità civile, penale, amministrativa, contabile delle direzioni, nonché, si ricorda, degli stessi lavoratori tenuti all’osservanza di regole di sicurezza. In Italia abbiamo una delle normative più stringenti in materia di sicurezza del lavoro. Un vanto per questo Paese. Ma agire in situazione di emergenza, spesso senza nemmeno avere il tempo di poter effettuare adeguamenti strutturali, con acquisizioni in urgenza, spesso senza avere nemmeno il tempo di rispettare le cogenti tempistiche di adeguamento del Documento Valutazione Rischi, in presenza di un mercato di DPI sostanzialmente inibito all’autonomia delle singole aziende, significa, semplicemente, operare in condizioni eccezionali di inesigibilità delle normali condotte cautelari attese in un regime lavorativo ordinario, vivendo in tal senso nella oggettiva impossibilità di poter rispettare i canoni, a volte anche elementari, di sicurezza.
In una situazione di questo genere i datori di lavoro, sia pubblici che privati – nonché, si evidenzia, l’intera filiera delle figure impegnate nella predefinizione ed esecuzione delle misure di sicurezza (i “dirigenti”, ivi compresi i dirigenti medici di struttura, i “preposti”, i “medici competenti” e gli stessi “lavoratori”) devono poter contare su un’adeguata e tempestiva moratoria di profilo penale, amministrativo e di rivalsa, in base a un principio, si ritiene, di evidente e naturale comprensibilità: quello della “equità di sistema”.
Le direzioni e tutti i collaboratori dell’intera filiera gestionale della sicurezza hanno, infatti, agito – anche, si sottolinea, in espressa deroga legislativa rispetto ai requisiti di accreditamento e, in certi casi, di autorizzazione – per consentire alla popolazione di essere curata, sono stati al fianco degli operatori, sono stati vittime, in prima persona, di contagio, e certamente non possono pagare personalmente, eventualmente anche in via penale, per quello che, in questo momento, non risulta oggettivamente esigibile, per quello, in altre parole, di cui non possono essere obiettivamente considerati responsabili secondo gli ordinari canoni che presidiano tale sistema.
Dirigo un ospedale Covid Hospital. Ricorderò per sempre una notte disgraziata in cui non avevamo più mascherine FFP3 da dare, allo smonto turno, agli operatori della terapia intensiva, con 20 pazienti in carico. Inutili le ricerche in tutti i reparti e pure negli altri ospedali. Nella chat tra direttori generali della nostra Regione tante volte ci siamo scambiati prestiti di dispositivi alle ore più disparate. Inutile dire che vani erano stati gli sforzi di acquistarli, sia da parte della Centrale Acquisti regionale che dalla stessa azienda. Sono stata sveglia tutta la notte: non avevo idea di cosa fare. La scelta tremenda tra la salute dei nostri e la vita dei pazienti. La mattina la Protezione civile ci ha fatto consegne. Ma è una notte che non dimenticherò mai.
E’ questa la drammatica situazione in cui, in questo periodo, operano le direzioni aziendali soffocate dalla continua tensione nell’offrire la doverosa risposta ad una utenza sofferente e in imminente pericolo, con pochi mezzi e strumenti a disposizione e con percorsi da rivoluzionare in pochi giorni.
Ma molti operatori sono morti. E questo è insopportabile. Ed è per questo che per tali ipotesi non può prescindersi dalla creazione di un apposito Fondo a gestione di profilo indennitario che si aggiunga alle ordinarie tutele assicurative garantite dall’INAIL. E, anche qui, per le medesime ragioni di sostenibilità del sistema, sarebbe incongruo che questo fondo gravasse, isorisorse, sulle aziende e, quindi, sul SSN. Deve trattarsi di un fondo ad hoc, come quello al quale si ricorse per un’altra tragedia collettiva, quella del sangue infetto, un fondo, ovviamente, allargato anche ai medici in convenzione e ai liberi professionisti che hanno partecipato a questa battaglia terribile. Ed è contestualmente doveroso strutturare ed alimentare seriamente anche un fondo premiale per gli operatori sanitari esposti in prima linea.
Bene inteso, ovviamente, se ci sono casi di responsabilità, sia verso i pazienti che verso gli operatori, indipendenti dalle condizioni di necessità imposte dalla situazione emergenziale, è giusto che le Aziende risarciscano e le direzioni rispondano.
E’ inoltre è doveroso auspicare, per le vittime del Coronavirus, la tempestiva creazione di un Fondo di solidarietà nella adeguata misura che il Paese si potrà o, meglio, si dovrà permettere, tenuto conto della complessiva sostenibilità del sistema
Occorre evitare il default del SSN; evitare una spaccatura tra chi ha condiviso la trincea per una guerra durissima. Senza questo il SSN di domani non potrà avere grandi prospettive. Prendiamoci il tempo di discutere tra tutte le parti. Ma un appello accorato a non spaccarci. Tutti noi vogliamo solo salvare il nostro prezioso SSN e i nostri professionisti ed operatori. Deve essere il tempo delle alleanze, perché, quando questa tragedia finirà, il nostro Paese non sarà più lo stesso e la gente, impoverita, più che mai avrà bisogno di noi uniti.
Tiziana Frittelli
Presidente Federsanità
(Fonte: Quotidiano Sanità)