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Riaprire in sicurezza le scuole durante Covid-19 è possibile?

Riaprire in sicurezza le scuole durante Covid-19 è possibile?

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di Rebecca De Fiore 

Se sia possibile riaprire in sicurezza le scuole durante Covid-19 è una delle questioni più discusse nell’ampio dibattito che riguarda le restrizioni imposte per contenere la diffusione dei contagi da coronavirus. Con l’ultimo DPCM, entrato in vigore il 16 gennaio, i bambini che frequentano le scuole dell’infanzia, le scuole elementari e le medie possono continuare a svolgere la didattica interamente in presenza. I ragazzi più grandi, invece, che frequentano le scuole secondarie di secondo grado, continuano ad alternare la didattica in presenza a quella a distanza. Ma quanti sono i bambini e i ragazzi interessati? In Italia la popolazione in età scolare, quindi che ha tra i 3 e i 18 anni, ammonta a un totale di quasi nove milioni di individui, circa il 15% della popolazione totale [1]. Sicuramente per capire se le scuole possano riaprire in sicurezza, e per prendere decisioni in merito, è importante conoscere l’impatto che ha il nuovo coronavirus su bambini e ragazzi e quanto anche loro possano essere veicolo di trasmissione. Vediamolo insieme.

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Dottore, ma è vero che bambini e adolescenti si ammalano meno di Covid-19?

Se fino a qualche mese fa, nelle fasi iniziali della pandemia, sembrava che il virus potesse colpire i bambini in modo diverso dagli adulti, oggi le evidenze sono contrastanti. Già a maggio ne avevamo parlato, nella scheda “I bambini sono meno colpiti dalla Covid-19?”, ma sicuramente oggi sappiamo di più sul rapporto tra bambini e Covid-19 rispetto a quanto ne sapessimo nei mesi scorsi. Anche se le ricerche procedono a un ritmo molto intenso – e lo abbiamo visto anche con la realizzazione del vaccino in tempi record, un argomento trattato anche nella scheda “I vaccini per Covid-19 stanno arrivando?” – non è ancora abbastanza ed è normale continuare ad avere qualche incertezza. “Anche se può sembrare che siamo nel mezzo della pandemia da molto tempo, stiamo studiando questo virus solo da sei mesi”, precisa su Vox Megan Ranney, medico di emergenza e direttore del Center for Digital Health presso la Brown University [2].

Molti studi, però, sembrano concordi nel dimostrare che i bambini esposti al virus abbiano un rischio inferiore agli adulti di sviluppare Covid-19. Tra questi, uno studio pubblicato a giugno su Nature: i ricercatori hanno considerato i dati di sei Paesi del mondo, tra cui l’Italia, mostrando che bambini e ragazzi di età inferiore ai 20 anni hanno circa la metà delle probabilità di ammalarsi dopo l’esposizione rispetto agli adulti [3]. Ancora, uno studio italiano pubblicato su Pediatrics, che descrive i casi di malattia da coronavirus nei bambini sotto i 18 anni e li confronta con la popolazione adulta e anziana utilizzando i dati del sistema di sorveglianza integrata Covid-19, mostra che a maggio 2020 i bambini hanno rappresentato solo l’1,8% di tutti i casi di Covid-19 riportati, similmente a quanto osservato in altri Paesi. Lo studio confermerebbe anche che con l’aumentare dell’età cresce il rischio di contagio poiché la maggioranza di casi di Covid-19 individuati nella popolazione considerata nello studio è costituita da adolescenti di età compresa tra i 13 e i 17 anni [4].

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Un articolo uscito a novembre su The Conversation suggerisce invece un’altra ipotesi: le infezioni nei bambini spesso non verrebbero rilevate e i bambini sarebbero suscettibili alle infezioni tanto quanto gli adulti. Le infezioni da SARS-CoV-2 nei bambini, infatti, sono generalmente molto più lievi che negli adulti o addirittura asintomatiche, e per questo potrebbero non essere rilevate. Diversi studi, infatti, hanno mostrato che la maggior parte dei bambini presenta sintomi talmente lievi da non essere riconosciuti, il che porterebbe a sottostimare enormemente il numero dei bambini colpiti. Per questo, dunque, sarebbe opportuno evitare di fare affermazioni definitive [5].

Che servano ulteriori studi lo sottolinea anche la ricerca più recente sull’argomento, uscita il 4 gennaio di quest’anno. Gli autori spiegano che Covid-19 è presente in modo significativo (prevalente) in tutti i gruppi di età pediatrica e si presenta con vari gradi di sintomatologia. Tuttavia, i bambini hanno un decorso più lieve della malattia con prognosi estremamente favorevole. “Sono necessari ulteriori studi su questo argomento per corroborare i risultati e determinare in modo coerente e basato su prove scientifiche le caratteristiche di Covid-19 nella popolazione pediatrica”, concludono [6].

Dottore, i bambini potrebbero essere meno contagiosi?

Nel corso del congresso della Società Italiana di Pediatria (SIP), che si è tenuto a dicembre, è stata presentata un’ampia rassegna di studi internazionali sulla contagiosità dei bambini. “Un’ampia analisi di molti studi scientifici conclude che i bambini raramente sono i veicoli di Covid-19: solo l’8 per cento di loro lo trasmette”, affermano Guido Castelli Gattinara, dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, e Giangiacomo Nicolini, specialista in malattie infettive all’Ospedale San Martino di Belluno, entrambi facenti parte del consiglio direttivo della Società Italiana di Infettivologia Pediatrica (SITIP). Che i più piccoli presentino una scarsa capacità di trasmettere il virus lo dimostrerebbero anche gli studi sui focolai nelle scuole europee: “A giugno in Inghilterra su 30 focolai scolastici la trasmissione dai e ai bambini ha interessato solo 8 casi e da bambino a bambino solo 2 casi su 30. In Germania tra marzo e agosto sono stati registrati vari focolai scolastici che hanno rilevato come le infezioni sono state meno comuni nei bambini di 6-10 anni rispetto ai bambini più grandi e agli adulti che lavoravano nelle scuole”, concludono [7].

Anche in questo caso, però, sono necessari ulteriori studi.

Dottore, qualche certezza l’abbiamo?

L’unica certezza allo stato attuale è che, sebbene i bambini possano ammalarsi di Covid-19, la malattia è generalmente meno grave rispetto a quella che si manifesta negli adulti. Questa affermazione è supportata da uno degli studi pediatrici su vasta scala condotti fino a oggi, apparso alla fine di giugno sulla rivista Lancet Child & Adolescent Health [8]. Che i bambini abbiano infezioni meno gravi lo conferma anche uno studio pediatrico condotto dalla SIP e dalla SITIP in oltre 50 dei principali centri clinici infettivologici italiani, presentato in occasione del congresso della SIP. Lo studio mette in luce anche i principali sintomi che si manifestano nei bambini: il più frequente è la febbre (81,9% dei casi), seguita da tosse (38%) e rinite (20,8%). Al quarto posto c’è la diarrea (16%).

“Il campione ha raccolto 759 pazienti, dei quali più del 20 per cento al di sotto di 1 anno di vita. A oggi può essere considerato il più dettagliato studio europeo sui casi pediatrici di infezione da Covid-19”, sottolinea il presidente della SITIP, Guido Castelli Gattinara. L’indagine ha messo in evidenza che i sintomi possono cambiare con l’età. “Mentre i bambini sotto l’anno presentano più frequentemente tosse e rinite, i ragazzi più grandi, in età adolescenziale e preadolescenziale, hanno sintomi più tipici a quelli dell’adulto: alterazioni del gusto e dell’olfatto, vomito, mal di testa e dolore toracico”, spiegano Silvia Garazzino e Luca Pierantoni, rispettivamente vicepresidente e consigliere della SITIP [7].

Dottore, quanto sono frequenti i focolai scolastici?

Innanzitutto, occorre premettere che districarsi tra i dati italiani sulla scuola non è semplice e per questo l’impatto della chiusura e della riapertura delle scuole sulle dinamiche epidemiche rimane ancora poco chiaro. Consideriamo anche che è difficile valutare il peso della chiusura delle scuole, poiché questa misura è stata presa contemporaneamente ad altre.

Il 30 dicembre 2020 è uscito un rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità sull’andamento della pandemia di Covid-19 nelle scuole. “Nel periodo dal 31 agosto al 27 dicembre 2020, il sistema di monitoraggio ha rilevato 3.173 focolai in ambito scolastico, che rappresentano il 2% del totale dei focolai segnalati a livello nazionale”, si legge [1]. Inoltre, “la percentuale dei focolai in ambito scolastico si è mantenuta sempre bassa e le scuole non rappresentano i primi tre contesti di trasmissione in Italia, che sono nell’ordine il contesto familiare/domiciliare, sanitario assistenziale e lavorativo. A metà ottobre, a un mese dalla riapertura delle scuole, la percentuale dei focolai in cui la trasmissione poteva essere avvenuta in ambito scolastico era intorno al 3,7% del totale, valore che poi si è progressivamente ridotto” [1].

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A mostrare come sia un argomento delicato e come ancora non si abbiano certezze, si legge su Vox che anche se i bambini non trasmettono il virus prontamente come gli adulti, hanno fino a tre volte il numero di contatti, il che significa che hanno tre volte il numero di opportunità di trasmettere il virus [2]. Ancora, un’analisi uscita su Nature Human Behaviour sulle strategie di contenimento della pandemia [9] dice chiaramente che la chiusura di spazi educativi, insieme al coprifuoco e a blocchi e restrizioni rispetto a luoghi in cui le persone si riuniscono per un lungo periodo di tempo (luoghi di lavoro, centri commerciali e negozi, ristoranti, raduni di persone), è tra gli interventi non farmacologici più efficaci, confermando i dati già apparsi su The Lancet Infectious Disease [10].

Dottore, quindi le scuole potrebbero riaprire in sicurezza?

“Per un ritorno a scuola in presenza, dopo le misure restrittive adottate in seguito alla seconda ondata dell’epidemia di Covid-19, è necessario bilanciare le esigenze della didattica con quelle della sicurezza. Le scuole devono far parte di un sistema efficace e tempestivo di test, tracciamento dei contatti, isolamento e supporto con misure di minimizzazione del rischio di trasmissione del virus, compresi i dispositivi di protezione individuale e un’adeguata ventilazione dei locali. […] Allo stato attuale delle conoscenze le scuole sembrano essere ambienti relativamente sicuri, purché si continui a adottare una serie di precauzioni ormai consolidate quali indossare la mascherina, lavarsi le mani, ventilare le aule, e si ritiene che il loro ruolo nell’accelerare la trasmissione del coronavirus in Europa sia limitato. L’esperienza di altri Paesi, inoltre, mostra che il mantenimento di un’istruzione scolastica in presenza dipende dal successo delle misure preventive adottate nella comunità più ampia. Quando sono in atto e ampiamente seguite misure di mitigazione sia a scuola che a livello di comunità, le riaperture scolastiche pur contribuendo ad aumentare l’incidenza di Covid-19, causano incrementi contenuti che non provocano una crescita epidemica diffusa” [1].

In altre parole, è ragionevole riaprire in sicurezza le scuole facendo indossare le mascherine e lavare spesso le mani ai bambini, agli insegnanti e al personale non docente, facendo aprire le finestre delle aule e predisponendo un sistema di tracciatura dei casi tempestivo ed efficace.

(Fonte: https://dottoremaeveroche.it/)