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Riflessioni

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di Aldo Di Blasi

L’emergenza sanitaria correlata alla pandemia da Covid-19 ha evidenziato la grave situazione venutasi a creare per la carenza, oltre che di strutture sanitarie, ridotte all’osso per i continui sconsiderati tagli, anche, purtroppo, di medici e infermieri.

Nel corso di questa pandemia le emergenze a cui le istituzioni devono far fronte, sono molteplici, ma la carenza più rilevante, come si è notato in questi mesi, è la carenza di personale infermieristico e medico, cosa di cui i passati Governi portano parecchie responsabilità. In tutta Italia, dal 2010, sono stati chiusi presidi ospedalieri e poliambulatori in alte percentuali e la mancanza di personale sanitario ora si è fatta sentire. Non si può andare avanti disponendo di “utilizzare le risorse umane esistenti”, fingendo di ignorare la “gobba pensionistica”, maggiore fattore di carenza di medici nel quinquennio 2020-2025, che ha visto proprio nel 2021 la sua maggiore incidenza. Da qui, come conseguenze, il burn-out, i prepensionamenti, le fughe dei cervelli all’estero, il deterioramento del rapporto coi pazienti. La stessa Rosy Bindi,

responsabile dell’introduzione del numero chiuso, in una recente intervista, ha affermato che mancano all’appello circa diecimila medici e almeno il doppio degli infermieri e riconosce che bisognerebbe abolire il tetto di spesa per le assunzioni. Questa situazione di disagio era già ben conosciuta a Giulia Grillo, ministro della salute nel Governo Conte 1, che aveva proposto di abolire il numero chiuso a medicina. Anche alcuni Senatori della XVIII Legislatura avevano presentato un disegno di legge in tal senso, facendo evidenziare che “l’attuale metodica di selezione per programmare gli accessi alle facoltà di medicina e chirurgia è del tutto inadeguata”. Affermavano:”Appare evidente la difficoltà di accedere ad un corso universitario con candidati di giovanissima età e basi di preparazione non omogenea con prove che consistono nel superamento di test come attualmente svolti.” Preciserei meglio: basi di preparazione delle scuole medie superiori assolutamente carenti e inadeguate, sia riguardo alle formazioni specifiche che alla cultura generale e all’attualità, situazione già da tempo esistente, ma peggiorata particolarmente in questi tempi di didattica da remoto a causa della pandemia.

Il suddetto disegno di legge, attraverso l’abolizione del numero chiuso o programmato per l’immatricolazione ai corsi di laurea in medicina e delle professioni sanitarie, si prefiggeva lo scopo di garantire il diritto costituzionale allo studio e pertanto consentire una iscrizione libera per tutti i cittadini al primo anno, con possibilità di frequenza dei corsi del primo e del secondo anno, con valutazioni finali su materie di base e, soprattutto, sulle attitudini psicologiche e formative e delle preparazioni umane e specifiche nell’ottica di un ottimale rapporto con i pazienti.

Non si può credere che l’attitudine del giovane per accedere a una laurea in medicina e chirurgia, con la quale dovrà affrontare, con responsabilità, le problematiche della salute dei pazienti, possa essere esaminata con un sistema di valutazione basato su test con quiz basati sullo scibile umano, a fronte, come detto prima, delle gravi carenze del sistema scolastico italiano.

Di recente, sull’argomento è intervenuto anche il Codacons, che ritiene il sistema del numero chiuso “superato, inutile, e lesivo dei diritti degli studenti e degli utenti del

servizio sanitario, comportando tra l’altro uno spreco di milioni e milioni di euro considerate le spese che devono affrontare i candidati per sostenere le prove nelle varie città, e ripetendole negli anni, e per la preparazione ai test di ingresso”.

L’accesso con numero razionalmente programmato al Corso di Laurea in Medicina

e Chirurgia è stato malamente pianificato, in relazione alle esigenze della nostra sanità in una data epoca storica, che è stata ormai superata. Stesso discorso vale, e non solo a mio parere, per l’irrazionale successivo imbuto formativo rappresentato dall’accesso alle Scuole di specializzazione e per una incoerente programmazione rispetto alle esigenze del territorio, delle strutture ospedaliere, degli studenti che negli anni si laureeranno. D’altro canto, specializzazioni come medicina d’urgenza, anestesia e rianimazione, branche chirurgiche, sembrano soffrire di mancanza vocazionale, causata da condizioni di lavoro sempre peggiori, stipendi inadeguati, rischi personali e professionali , tutte criticità a cui bisognerà in tempi brevi porre rimedio in modo adeguato e definitivo, per non assistere allo sfacelo del nostro sistema sanitario.

Altra criticità, in tempo di pandemia, che deve fare riflettere, è quella delle attività a distanza nell’Università a Medicina, con la inevitabile conseguenza di “formare” delle figure professionali inadeguate a sobbarcarsi la responsabilità della salute del paziente, ad acquisire l’attitudine a curarlo, a porsi accanto, comprendendone le esigenze, valutandone la sintomatologia clinica, unendo la preparazione scientifica

ad una componente umana di alto livello.

Dalle dichiarazioni del ministro dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa, che pur si mostra consapevole della contraddizione tra il numero chiuso e il basso numero di laureati in Medicina, pare che nelle intenzioni del Governo ci sia la revisione del meccanismo del numero chiuso, non però nell’ottica dell’abolizione, in quanto è ritenuto “utile per mantenere alta la qualità dei corsi ed evitare il fenomeno del sovraffollamento degli atenei”. Tuttavia, oltre a una revisione dei test d’ingresso, secondo il ministro sarebbe necessario “fare orientamento, autovalutazione, iniziare dal terzo o quarto delle superiori, far capire quando una vocazione è una vera vocazione” e, per quanto riguarda la DAD negli atenei, occorre studiare meccanismi validi per complementare le attività in presenza con quelle a distanza.

Staremo a vedere!