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Sanofi premia la ricerca oncologica, Italia rappresenta una eccellenza

Sanofi premia la ricerca oncologica, Italia rappresenta una eccellenza

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Cerimonia a Milano, la vincitrice: si lavora per traguardi mai raggiunti prima

Gli occhi brillanti e il grande sorriso sulle labbra parlano da soli. La dottoressa Giulia Mazzaschi, ricercatrice dell’università di Parma, ha appena ritirato un premio prestigioso e pesante che vale ben 100mila euro. È lei la vincitrice di ‘Research to care’, il concorso bandito da Sanofi Italia quest’anno dedicato alla ricerca oncologica con focus sul tumore del polmone non a piccole cellule, la seconda patologia più frequente negli uomini e la terza nelle donne. Sul tavolo della giuria sono arrivati 33 progetti e tra tutti l’ha spuntata la dottoressa Mazzaschi.

Lo studio che ha presentato, condotto da un team di oltre venti specialisti tra biologici, clinici, oncologi, radiologi e anatomopatologi, punta a identificare precocemente i pazienti con tumore polmonare di stadio avanzato che presentano delle alterazioni genomiche orfane, ossia prive di una terapia bersaglio specifica. “Questo è quello che stiamo cercando di fare con tutto il mio gruppo di ricerca- ha spiegato la dottoressa Mazzaschi- L’obiettivo è individuare questi pazienti, oggi trattati con regimi immunoterapici o chemioimmunoterapici standard, caratterizzarli attraverso un approccio multi-omico avanzato e in un secondo passo proporre, offrire e testare nuove molecole dirette specificatamente contro queste alterazioni genomiche orfane”.

La strada è quella di una medicina sempre più personalizzata che nel tempo ha già migliorato la prognosi di chi scopre di avere questo tipo di tumore. “Abbiamo assistito negli ultimi anni a due grosse rivoluzioni nell’ambito della patologia polmonare avanzata- ha affermato la dottoressa Mazzaschi- Innanzitutto l’avvento dell’immunoterapia, che ha cambiato drasticamente la prognosi dei nostri pazienti, arrivando a un tasso di sopravvivenza a cinque anni fino al 30%, un traguardo mai raggiunto prima. Poi abbiamo la terapia target, diretta verso quei sottotipi di tumore del polmone non a piccole cellule che presentano delle mutazioni genetiche specifiche che ci consentono di sviluppare e proporre delle molecole dirette a colpire proprio quelle mutazioni”.

Oltre allo studio vincitore, la qualità dei progetti di ricerca ha portato al riconoscimento di due menzioni speciali. Il dottor Damiano Caruso e la professoressa Chiara Nardon tornano rispettivamente alla Sapienza di Roma e all’università di Verona ciascuno con un finanziamento pari a 10mila euro. AIRSPACE, titolo del lavoro presentato dal dottor Caruso, vuole sviluppare un modello di intelligenza artificiale basato sulla signature radiogenomica del carcinoma polmonare attraverso un approccio che combina l’estrazione di parametri quantitativi radiomici da immagini di tomografia computerizzata del carcinoma polmonare con dati clinici, patologici e genomici. In questo modo si avrà una maggiore precisione e una comprensione di aggressività, prognosi e sopravvivenza del tumore, incidendo in ultima analisi sulle strategie terapeutiche.

Il progetto NASCET della dottoressa Nardon mira invece a sviluppare una nuova classe di terapie in grado di colpire sia il microambiente tumorale sia le cellule tumorali. Per farlo sfrutta il ruolo chiave del pH nel distretto canceroso e quello dei metalli endogeni ferro e rame. Il disegno della futura terapia prevede un rilascio selettivo delle nuove molecole, capaci di innescare la morte della cellula tumorale mediante i meccanismi di cuproptosi e ferroptosi.

Il trio premiato è stato scelto da una giuria indipendente di cinque esperti. Si è detta molto contenta dei risultati la presidente, la dottoressa Silvia Novello, docente di Oncologia medica all’università di Torino: “Siamo rimasti soddisfatti della qualità dei progetti, era decisamente buona. Siamo stati felici che molti proponenti avessero un’età decisamente giovane e questo è un elemento che è stato premiato per i finalisti”. La dottoressa Novello, però, non ha nascosto le criticità venute allo scoperto nel corso delle valutazioni. “Ci ha sorpreso la mancanza di spunti nel digital, che era una delle categorie previste dal bando insieme alla ricerca preclinica e a quella traslazionale. Significa che probabilmente non c’è ancora una buona coesione fra i diversi gruppi di lavoro. Ma ripeto, i progetti presentati sono stati tutti di rilievo, tant’è che è stato difficile arrivare prima ai sette finalisti, poi ai tre premiati”.

Nel corso della premiazione, svoltasi nella bellissima Sala lettura della Fondazione Feltrinelli a Milano, è intervenuto anche il presidente e amministratore delegato di Sanofi Italia, Marcello Cattani, che ha illustrato lo scopo dietro alla promozione di un bando come ‘Research to care’. “L’obiettivo è valorizzare la ricerca pubblica italiana e indipendente attraverso il supporto di tre finanziamenti che riconoscono l’eccellenza presente nel nostro Paese in campo oncologico. Ogni anno investiamo in Italia circa 25 milioni di euro con un coinvolgimento complessivo di 2500 pazienti arruolati negli studi clinici supportati da Sanofi. Vogliamo continuare a farlo, ma lo Stato ha una sfida, ovvero ridurre la burocrazia; poi c’è l’uso secondario del dato di privacy, che diventa fondamentale per mantenere il passo con gli scenari competitivi globali, veloci e flessibili degli altri Paesi”.

L’eccellenza è sotto ai nostri occhi, anche se fa più rumore lo spostamento dei cervelli in fuga. Anche la dottoressa Mazzaschi era all’estero quando ha saputo di aver vinto il premio. “Ero a Parigi, all’Istituto oncologico Gustave-Roussy, dove sto conducendo degli studi preclinici che rientrano sempre nell’ambito del tumore del polmone e dell’approccio multi-omico- ha raccontato con un grande sorriso sulle labbra- La linea telefonica era piuttosto disturbata, quindi inizialmente non ho capito di preciso cosa stesse succedendo. Quando poi sono stata informata la soddisfazione è stata tantissima. Il primo che ho chiamato è stato il professor Marcello Tiseo, il mio direttore a Parma, che ovviamente è stato molto orgoglioso e soddisfatto proprio perché è un successo per il gruppo e perché ci fa capire che la direzione in cui stiamo andando è quella giusta”.

Un team di ricercatori d’età compresa tra i 35 e i 40 anni che fa della ricerca condotta in Italia la sua forza. Un ottimo punto da cui ripartire per dare fiducia a quei cervelli che decidono di restare nei nostri laboratori.