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“La decisione presa ieri sera dalla Corte Costituzionale va, come è ovvio, applicata senza se e senza ma”.
Parte da qui Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (Fnomceo) nel commentare, a un giorno di distanza, la sentenza degli ermellini sul suicidio assistito.
“Come medici, e prima ancora come cittadini, ci atterremo alla sentenza, così come ci atterremo alla Legge, che auspichiamo arrivi celermente a fare chiarezza, e ai principi del Codice di Deontologia medica, che sono in ogni caso coerenti con quelli costituzionali” ha spiegato annunciando la volontà dei medici di chiedere al legislatore che sarà chiamato a normare sulla materia, di sollevare i medici dal compito finale, affidando l’estremo atto, quello della consegna del farmaco, a un funzionario individuato per questo ruolo.
Presidente Anelli, gli ermellini hanno ritenuto non punibile chi agevola il suicidio assistito per coloro che sono affetti da patologia irreversibile e sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili e in grado di in grado di intendere e di volere. Tutto questo nelle more di un intervento ad hoc da parte del legislatore. Qual è la vostra posizione?
Siamo per il rispetto assoluto della sentenza della Corte, ma vorremmo che la gestione non fosse affidata al medico. Anche se la figura del medico deve comunque rimanere un punto di riferimento essenziale per assicurare al malato e ai suoi cari i migliori ausili possibili, e accompagnare verso la fine chi soffre con le cure palliative. Vede, io leggo nelle parole della consulta la volontà di riconoscere, in circostanze molto particolari, la libertà di scelta del cittadino. E quindi la libertà di scegliere anche la morte. Credo che la decisione presa sia lo specchio di un Paese altamente civile che riesce a tutelare minoranze esigue dandogli una risposta, anche se non condivisa da tutti. La lettura del rispetto dell’altro mi sembra una chiave molto importante. Ma in questo i medici cosa c’entrano?
La Corte, in realtà, a leggere la precedente Ordinanza del novembre scorso, sembra delineare un ruolo importante per i medici ipotizzando che una regolamentazione in materia dovrebbe anche indicare le modalità di verifica medica della sussistenza dei presupposti al suicidio con tanto di possibilità di obiezione di coscienza per i sanitari….
È vero, nell’ordinanza della Corte è richiamata la possibilità dell’obiezione di coscienza degli operatori sanitari, considerandoci quindi parte in causa. Ma entrare in queste dinamiche ci mette a disagio perché noi esercitiamo una professione che ci porta dall’altra parte della strada, ossia verso la vita. Siamo coloro che combattono le malattie, siamo quelli che provano a ridurre le sofferenze e ad allontanare la morte laddove è possibile. Il nostro lavoro è quello di allungare la vita delle persone. Non dimentichiamo che esiste un divieto valido dal 400 avanti Cristo, da quanto Ippocrate ha scritto il giuramento di non compiere mai atti che possano provocare la morte. In sostanza, il suicidio non può essere un atto medico, non può essere il medico ad avviare il processo del suicidio.
E quindi qual è la soluzione?
Nella regolamentazione che il legislatore dovrà emanare andrà individuata una figura che, per avviare il suicidio assistito, sia in grado di prendere atto delle condizioni certificate dal medico, della volontà dell’assistito, della sussistenza delle condizioni previste dalla Corte e del parere del Comitato etico. Penso quindi a un funzionario dello Stato. Insomma, ci vuole una figura che dia il via libera al suicidio. Non è una questione formale. Il malato quando si rivolge al medico non deve avere il minimo dubbio sul fatto che non gli possa procurare la morte. Il rapporto con il medico deve fondarsi sulla capacità di curare e risolvere le sofferenze. Questo deve essere ben chiaro
Un’ultima domanda, la Corte ha subordinato la non punibilità alla verifica anche delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Ssn, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente…
Anche su questo punto dovrà decidere il Parlamento. Non è scritto da nessuna parte che il suicidio medicalmente assistito debba avvenire all’interno di strutture del Ssn. Tecnicamente può avvenire anche fuori. Credo che un’eccessiva medicalizzazione non vada bene. Ci sono modalità che possono essere studiate e che possono essere realizzate anche al di fuori del servizio sanitario pubblico.
(Fonte: Quotidinosanità.it)