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di Massimiliano Cavaleri
Cresce, seppur lentamente, la consapevolezza delle donne italiane rispetto ai temi che riguardano la sfera della salute genitale. Tuttavia, le zone d’ombra non mancano e le pazienti che convivono con un tumore ginecologico (tumore dell’endometrio uterino, tumore dell’ovaio, tumore della cervice uterina e della vulva) rivendicano una maggiore informazione e attenzione agli aspetti della vita quotidiana come la nutrizione, la gestione degli effetti collaterali delle terapie oltre che a un più stretto contatto con il proprio medico curante. Ritenuta soddisfacente, invece, l’informazione ricevuta dallo specialista sulle terapie da adottare dopo la diagnosi. Rimane confermato l’accesso lacunoso e disomogeneo sul territorio nazionale ai test genetici, offerti solo a 1 paziente su 3.
È quanto emerge dall’indagine conoscitiva sui tumori ginecologici condotta nell’ambito dell’iniziativa “In Contatto”, promossa dalle 41 Associazioni del Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”, che ha voluto indagare le esperienze e le esigenze delle pazienti durante il percorso di cura per portare all’attenzione delle Istituzioni eventuali disagi, bisogni non soddisfatti e proposte per trovare soluzioni adeguate.
L’indagine ha confermato il problema delle diagnosi tardive per i tumori ginecologici, legate soprattutto alla aspecificità dei sintomi e alla mancanza dello screening di popolazione. In effetti, il 46,6% delle pazienti ha dichiarato di aver scoperto il tumore in fase avanzata. E il tumore è stato scoperto casualmente (23,3%) o attraverso sintomi aspecifici, condivisi con il medico di famiglia o il ginecologo (43,7%).
L’indagine ha evidenziato che riguardo alla prevenzione rimane ancora molto da fare, sottolineando la necessità di rafforzare i programmi di prevenzione primaria: il 37% delle donne si sottopone a visita ginecologica annuale ma il 49% effettua controlli diradati nel tempo.