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Tumori, la depressione aumenta fino all’86% il rischio di morte

Tumori, la depressione aumenta fino all’86% il rischio di morte

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Mnesys, anche per altre patologie mortalità più alta del 77%

I disturbi psichici, come la depressione, peggiorano l’andamento delle altre patologie del corpo e aumentano il rischio di decesso.

In particolare, nei pazienti con cancro, se è presenta anche la depressione grave, il rischio di morte è fino all’86% più alto rispetto a chi non soffre di disturbo mentale.

Per le altre malattie ‘somatiche’ le probabilità si alzano del 77%. È il dato che emerge da uno studio, non ancora pubblicato, coordinato dall’Università di Ferrara e realizzato nell’ambito di Mnesys, progetto di ricerca sulle Neuroscienze sostenuto dal Pnrr.
    “La depressione non va considerata unicamente una patologia mentale ma un disturbo che coinvolge molti organi e apparati, che determina un incremento degli ormoni dello stress e una riduzione dell’attività immunitaria attraverso molti meccanismi biologici, inclusi fenomeni infiammatori a livello cerebrale”, dice Luigi Grassi, ordinario di Psichiatria all’Università di Ferrara e coordinatore dello Spoke 5, uno dei sotto-progetti in cui è articolato Mnesys. “Per questo è dimostrato, nelle persone con patologie mentali severe, un aumento del rischio di sviluppare malattie fisiche, incluse quelle oncologiche. La mortalità per cancro in persone affette da schizofrenia, disturbi bipolari o depressione grave è più elevata rispetto alla popolazione generale”, aggiunge Grassi.
    Anche per questa ragione, la diagnosi tempestiva e una buona gestione della malattia sono decisivi. Da questa punto di vista il progetto Mnesys potrebbe dare un contributo importante: uno studio coordinato dall’Università di Bologna ha scoperto che una caratteristica genetica, legata alla produzione di un enzima (CYP2C19), potrebbe essere all’origine della perdita di efficacia dei farmaci più usati per la depressione maggiore (gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina).
    “Abbiamo rilevato che i pazienti con una bassa produzione dell’enzima non rispondevano al trattamento, con conseguente maggiore probabilità di cambiare antidepressivo e di avere effetti collaterali dopo la prima prescrizione rispetto a individui senza variazioni del gene studiato”, dice Chiara Fabbri, ricercatrice dell’Università di Bologna e coautrice dello studio.

(Fonte: www.ansa.it)