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di Massimiliano Cavaleri
Sembra un’altra “Battaglia” quella della mostra curata da Agata Polizzi, dedicata alla celebre fotografa siciliana, inaugurata nelle scorse settimane alla galleria FPAC (Francesco Pantaleone Arte Contemporanea) di Palermo e che rimarrà aperta fino al 6 marzo.
L’esposizione, all’angolo dei Quattro Canti (via Vittorio Emanuele, 303 – martedì/sabato dalle 15 alle 19) s’intitola “Minime d’amore” e raccoglie scatti soprattutto degli anni ‘70 e ‘80 con qualche eccezione fino al 2001. Si scopre una Letizia Battaglia inattesa, sorprendente, che a prima vista potrebbe apparire “diversa”, ma che presto rivela la sua anima ribelle, il suo sguardo penetrante, la sua ineguagliabile cifra a tutti nota. Stavolta ad essere protagonisti delle fotografie, inedite ed esposte per la prima volta dopo una scrupolosa ricerca nell’immenso archivio, non sono gli omicidi, le bombe, gli spari, il sangue, le tragedie della Palermo raccontata per lungo tempo attraverso lo storico giornale “L’Ora”. Un’etichetta, un marchio che ha sempre contraddistinto Letizia Battaglia nel mondo come “fotografa della mafia” per molti, come “fotografa contro la mafia” per pochi, più attenti e oculati osservatori. Interessante e illuminante il suo libro autobiografico scritto insieme con la giornalista Sabrina Pisu “Mi prendo il mondo ovunque sia”.
In “Minime d’amore” la sua storia non svanisce, ma si mette da parte per lasciare spazio alla contromedaglia di quel periodo: è il trionfo delle emozioni, delle sensazioni, dell’umanità, dei sentimenti puri come l’amore, l’amore per la vita e per la famiglia, che raggiunge l’apice nello scatto dov’è ritratta una delle sue figlie mentre partorisce; e ancora l’amore dentro gli ospedali psichiatrici o le carceri (realtà che la Battaglia ha sempre attenzionato) o la sensualità espressa da un ritratto quasi “pornografico”, Adamo (coi capelli alla Beatles) ed Eva style, ai tempi realizzato per una rivista erotica. In fondo la “Battaglia” è la stessa: la sua disperata, accorata, incisiva lotta contro la mafia, personale e civica allo stesso tempo, è sempre stata una guerra per far vincere l’amore, per sbarazzare dal dolore e dal terrore una città culla della cultura, “caput mundi”, che si era maledettamente trasformata nella Medellìn di Pablo Escobar.
L’insostituibile forza dell’immancabile bianco e nero, con le sue luci e le sue ombre, i suoi chiari e i suoi scuri, è la tavolozza con cui Letizia immortala il bacio piuttosto che l’esplosione, il sorriso piuttosto che la pallottola, l’abbraccio piuttosto che il cadavere.
“La mostra racconta dell’amore in senso assoluto perché il sentimento amoroso ha toni molto diversi e ha ragioni molto diverse – si legge nella presentazione della Polizzi – non è solo la relazione complessa tra due individui, siano essi uomo donna, uomo uomo, donna donna, ma contempla una concentrazione ben più grande di relazioni, intensità e consapevolezze”.
Si comincia nel primo corridoio di fotografie cosiddette vintage, scattate soprattutto negli anni ‘70, di formato “più piccolo” ma non per questo meno significative o di impatto visivo; per proseguire nel resto della grande sala dove s’impongono cornici più grandi e si distingue tra tutte la fotografia più triste, più drammatica, più struggente: quello di Felicia Bartolotta, mamma del giornalista ucciso dalla mafia Giuseppe Impastato. Tutto torna. E l’ennesima “Battaglia” risulta vincente.