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di Caterina Visco (PENSIERO SCIENTIFICO EDITORE)
Sì, confermiamo che un persona sieropositiva in terapia non è infettiva. È ormai da oltre dieci anni che nella comunità scientifica si è raggiunto un consenso rispetto alla trasmissibilità dell’HIV, enunciato dalla formula U=U. Questa formula sta per “Undetectable Equals Untransmittable” che in italiano si traduce letteralmente con: “Non rilevabile uguale a non trasmissibile”.
“U=U” vuol dire semplicemente che una persona che è in terapia antiretrovirale e ha una carica virale negativa non può trasmettere l’infezione da HIV. Non può trasmetterla con un rapporto sessuale non protetto, non può trasmetterla con puntura accidentale a un medico o un infermiere, non può trasmetterla: punto. Questo è il senso”, spiega a Dottore ma è vero che? Massimo Cernuschi, infettivologo, presidente di ASA Onlus (Associazione solidarietà AIDS) e Milano Checkpoint. “Il tempo necessario a raggiungere questa carica virale negativa dopo l’inizio del trattamento varia da persona a persona, dipende anche dalla carica virale di partenza e di solito avviene nel giro di sei mesi”.
La terapia di cui parla è una terapia combinata di più farmaci [1], ne esistono oggi diversi in commercio e questo permette di formulare per ciascuno la terapia meglio tollerata individualmente. Solitamente è composta da tre farmaci, ma esiste oggi per alcune persone la possibilità di assumere una terapia composta da due farmaci, altrettanto efficace. “Sono in arrivo anche delle terapie iniettabili. La prima, che è stata già approvata dalla European Medicines Agency, potrebbe arrivare già nei prossimi mesi e prevede due iniezioni ogni due mesi. Inoltre, si stanno studiando altri trattamenti che potrebbero essere somministrati anche ogni sei mesi”, spiega il presidente di ASA.
Dottore, come si è arrivati alla consapevolezza che U=U?
Si è cominciato ad avere coscienza che pazienti in terapia da tempo non fossero contagiosi oltre dieci anni fa. Nel 2008 la Swiss Federal Commission for AIDS/HIV ha rilasciato quello che è oggi conosciuto come Swiss Statement [2]. In questa dichiarazione indicava che una persona che seguiva correttamente e costantemente una terapia antiretrovirale aveva una carica virale sufficientemente bassa al punto che – non avendo altre malattie sessualmente trasmissibili – era da considerarsi non infettiva. Lo statement svizzero ha inizialmente generato un forte dibattito. Tuttavia, negli anni seguenti diversi studi hanno cominciato a confermare la non contagiosità delle persone sieropositive in terapia e con carica virale non rilevabile. Lo studio chiave che ha portato a questo consenso generale e che ha dimostrato come la terapia funzioni anche da protezione per i partner nelle coppie in cui un partner è sieropositivo e uno è sieronegativo (coppie sierodiscordanti) è stato lo studio HPTN 052, pubblicato sul New England Journal of Medicine [3], che ha studiato l’efficacia delle terapie antiretrovirali in 1.783 coppie sierodiscordanti in nove Paesi differenti.
Nel corso dello studio non si sono verificate trasmissioni del virus tra partner in quelle coppie in cui il partner sieropositivo era in trattamento e con una carica virale non rilevabile. Se ne sono verificate otto in quelle coppie in cui, nonostante il partner sieropositivo fosse in trattamento, la carica virale era ancora rilevabile. Altri 26 partecipanti hanno acquisito l’HIV nel periodo dello studio, ma da partner sessuali esterni alla coppia. Questo e altri studi simili hanno anche portato la comunità scientifica a raccomandare l’inizio della terapia al momento della diagnosi, mentre fino ad allora si tendeva ad aspettare che la carica virale raggiungesse una certa soglia prima di iniziare il trattamento con i farmaci antiretrovirali.
Successivamente si è arrivati alla definizione del principio U=U, grazie a tre studi fondamentali – PARTNER [4], Opposite attracts [5] e PARTNER 2 [6] – che hanno mostrato un rischio pari a zero di trasmissione all’interno di coppie sierodiscordanti in cui il partner sieropositivo era in terapia antiretrovirale e carica virale negativa. Questo in assenza di qualsiasi altra forma di prevenzione. “In questi studi è stato seguito un numero molto alto di coppie per un periodo significativamente lungo”, spiega Cernuschi. “Erano coppie sia eterosessuali sia omosessuali e si è visto che nessuno si è infettato all’interno della coppia. I casi in cui si è verificata un’infezione è stata quella in cui i partecipanti hanno avuto rapporti all’esterno della coppia, quindi con altre persone”.
In seguito a questi studi, per fornire agli infettivologi e agli operatori sanitari italiani delle indicazioni chiare ma anche per favorire una corretta comunicazione rispetto a questo tema a tutti i segmenti della popolazione, nel novembre 2019 si è tenuta presso il Ministero della Salute la “Conferenza di Consenso Italia su UequalsU (U=U)” [7] che ha concluso e riportato ufficialmente che:
- Il rischio di trasmettere HIV attraverso rapporti sessuali senza profilattico da un partner HIV-positivo in terapia antiretrovirale con viremia stabilmente soppressa è uguale a zero.
- Tale rischio è pari a zero per tutte le modalità di rapporto sessuale.
- Per il rispetto della condizione di non-trasmissibilità è necessaria l’aderenza alla terapia antiretrovirale.
- L’interruzione della terapia vanifica l’efficacia di queste condizioni.
Una persona sieropositiva ma con carica virale assente può avere un rapporto sessuale non protetto senza rischiare di infettare il partner?
Sì, senza dubbio. Ed è per questo che è importante fare il test quando si è avuto un rapporto sessuale non protetto. “Il senso del discorso dell’U=U”, conferma Cernuschi, “è che bisogna fare il test, bisogna scoprire il prima possibile se si è contratto l’HIV e quindi curarsi bene per non trasmettere il virus e per non ammalarsi. Dove implementata, la strategia dei test a tappeto, unitamente a una importante diffusione della PrEP, ha ridotto moltissimo il numero di nuove infezioni in tante città e in tanti Paesi.
È successo in Australia, a San Francisco, a Londra, a Parigi. Anche a Milano c’è l’impressione che il numero di nuove infezioni si sia ridotto. Parliamo di infezioni asintomatiche, però. Infatti è altissimo il numero di quelle persone che scoprono di avere l’HIV perché stanno male: persone che non si considerano a rischio, non fanno il test e si accorgono molto tardi di essere sieropositive e che nel frattempo potrebbero probabilmente aver passato l’infezione ad altre persone senza saperlo. Quindi fare il test è un po’ la premessa all’eliminazione delle nuove infezioni da HIV. Oppure c’è la PrEP”.
Non dimentichiamo, però, che esiste un vasto gruppo di malattie infettive che si trasmettono prevalentemente per via sessuale e sono molto diffuse in tutto il mondo. Spesso le persone con una di queste malattie non hanno disturbi e quindi, non sapendo di avere un’infezione, possono trasmetterla inconsapevolmente ad altri in caso di rapporti sessuali non protetti dal preservativo. Ricordiamo, quindi, che – come indicato dal Ministero della Salute e dall’Istituto Superiore di Sanità – soprattutto per chi ha rapporti occasionali è opportuno utilizzare il preservativo e adottare comportamenti corretti [8,9].
Dottore, cos’è la PrEP?
PrEP è un acronimo che sta per profilassi pre-esposizione [10] ed è la possibilità, per persone che hanno rapporti non protetti con persone di cui non conoscono lo stato sierologico, di assumere un farmaco antiretrovirale prima dei rapporti e non acquisire l’infezione da HIV.
“Il discorso PrEP è molto complesso, perché non c’è nessuna informazione ufficiale diffusa rispetto a questa possibilità, e quindi le persone che attualmente prendono la PrEP in Italia sono principalmente uomini che fanno sesso con uomini, perché è la comunità in cui circolano più informazioni”, conclude Cernuschi.
“Inoltre, ci sono ancora oggi medici infettivologi che non vedono di buon occhio la PreP. Nella pratica può essere prescritta solo da un infettivologo e oltre al farmaco prevede una serie di controlli periodici che permettono poi di controllare se le persone hanno acquisito altre infezioni attraverso rapporti sessuali non protetti. Quindi permette di fare diagnosi precoci e trattare subito un’infezione anche asintomatica – per esempio sifilide, clamidia, gonorrea – per il bene della persona e dei suoi passati e futuri partner”.
(Fonte: dottoremaeveroche.it)